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Milano Expo 2015, piccola guida per stranieri.

13 marzo 2015 • By

Attraversare la strada.
Nella mia città, quando un’auto si ferma per far passare i pedoni sulle strisce, i pedoni ringraziano. Questo dovrebbe farti capire com’è la situazione qui.
Sono stato a New York e in altre città dove il pedone è come se avesse sempre la precedenza. Lì attraversi con il rosso, e le auto si fermano per farti passare.
Qui no.
Quindi, ti supplico, prima di attraversare la strada camminando sulle strisce, assicurati che per te sia verde, guarda comunque sia a destra che a sinistra e poi procedi.
Se non c’è il semaforo, e non c’è il teletrasporto, vale quanto detto sopra moltiplicato per mille.
In più, tieni conto che se uno in macchina ti vede attraversare non frenerà. Mai.
Userà il clacson per farti spostare più in fretta.
Altra tipicità italiana è quella di non fermarsi per farti passare, ma di adeguare la velocità del proprio veicolo in modo da sfilare alle tue spalle mentre stai ancora attraversando.
Questa è considerata una vera e propria gentilezza stradale.

Clacson.
Il clacson, a Milano e in Italia in generale, viene usato al posto dei freni.
In macchina si frena quando è proprio indispensabile.

Limiti di Velocità.
Per limite di velocità, a Milano e più in generale in Italia, si intende il limite fisico di accelerazione a cui un’automobile può arrivare prima di fondere il motore.
Ci sono dei cartelli, sparsi in giro, che indicano quello che dovrebbe essere il limite di velocità imposto dalla legge in quel determinato tratto di strada.
Di quei cartelli, non frega un cazzo a nessuno.
Il reale problema sopraggiunge quando al volante ci sei tu, e sei l’unico a rispettare i limiti di velocità. Ti ritroverai in una strada con il limite a 30Kmh, tallonato da uno incazzato che va a 80.
Questa è una delle tante situazioni che generano quello che io definisco: “Il paradosso italico”. Ovvero, sei costretto a non rispettare le regole se vuoi vivere in pace.
Razzismo.
Sarò molto chiaro: L’italiano è razzista ma non sa di esserlo. Anzi, è genuinamente convinto di non essere razzista, ma invece lo è.
Il razzismo dell’italiano medio non è frutto di un pensiero cosciente e lucido. Ovvio, ci sono anche i razzisti consapevoli di esserlo, ma quelli ci sono ovunque.
Quello che devi sapere, se sei nero, asiatico o latino, e ti interfacci con un mio connazionale è che verrai percepito come inferiore, perlomeno economicamente.
Poco importa se sei un avvocato afroamericano che porta a casa milioni di dollari all’anno, per loro sei nero, quindi sei un poveraccio.
Anzi no, scusa, la parola di uso comune è “poverino”.
Noteranno che sei vestito bene e ne rimarranno stupiti.
Non importa se sei un primario di chirurgia di origini messicane, loro ti tratteranno come si tratta un inserviente.
È una questione di “imprinting immigratorio”. Dato che, adesso, qui da noi, gli immigrati non sono certo ricchi, non se la passano bene e non si sono (ancora) integrati, l’italiano medio trasferisce il suo percepito a livello etnico.

Coda.
Nemmeno una cintura nera di geometria quantistica può spiegarti le dinamiche e le forme che può assumere una coda in Italia. Rassegnati come ho fatto io.
In teoria, una coda dovrebbe essere una cosa semplice: gente in attesa che compone una fila ordinata davanti a qualcosa. No, qui da noi non è così. La gente “in fila” può essere anche di fianco a te, un poco più in là, o seduta da un’altra parte, e così via.
Il che fa partire, nuovamente, il Paradosso Italico. Se non vuoi passare tutta la giornata a fare la fila, devi, per forza di cose, non rispettare le regole e farti furbo.

Continua…

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