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Food Critic!

Food, Food Critic!

Mangiare una pizza a Carcosa.

18 maggio 2015 • By

Venerdì la solita trattoria era strapiena. C’era una fila che usciva dalla porta per poi stazionare affamata sul marciapiede. Troppa gente. Poco tempo. Io e Ladyzilla decidiamo di consumare il nostro pranzo del venerdì da un’altra parte.
- C’è una pizzeria laggiù…
Dice lei.
- Bene, così proviamo un posto nuovo.
Dico io.
Nel cielo ci sono dei nuvoloni neri che minacciano pioggia. Io e Ladyzilla ci dirigiamo a passo spedito verso il posto nuovo.
Ho giusto il tempo di dare un’occhiata ai vari cartelli appesi alla porta, Paella su ordinazione il giovedì, giropizza il sabato, menufissobimbumbam.

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Food, Food Critic!

Ristorante Shanji, Milano.

13 aprile 2015 • By

shanji

Ti organizzo la serata. Vai in via Alessandro Volta, qui a Milano.
Prima entri da Alastor e prendi un paio dei miei fumetti. Poi attraversi la strada e vai a mangiare in un ristorante cinese di altissimo livello.
Non si vive solo spaccandosi di alliùchenit, nonostante il piacere avventuroso di frequentare localacci nella suburbia, ogni tanto bisogna, si deve, è necessario, trattarsi bene.
Il Shanji è un locale molto elegante, dall’arredamento moderno e pulito.
Mi dicono che per qualcuno è un fattore importante, quindi lo dico subito: no, non c’è nessun odore nell’aria, non esci avvolto nell’afrore di fritto e i gatti non ti inseguono.

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Area VIP, Food, Food Critic!, Real Diegozilla

L’Italia a 9 e 90.

20 ottobre 2014 • By

Il mio analista mi ha proibito di andare all’Auchan di Cesano Boscone. Però, negli ultimi sei, sette mesi, ho disobbedito ai suoi ordini e mi sono recato spesso in quel luogo di perdizione suburbana. A farmi andare laggiù, girando per il centro commerciale guardando in faccia la manifestazione biologica e tangibile della nostra impossibilità di riscatto come Paese, è stata l’apertura di un ristorante cino-giappo all you can eat. Un Kaiten-zushi per la precisione. Un ristorante con rullo trasportatore che rulleggia piano piano tra i tavoli trasportando piattini colorati con mini porzioni di cibo.
Quando l’ho visto per la prima volta, credo un paio di giorni dopo l’apertura, ho sorriso perché ho avvertito una parvenza europea. Credevo, mi illudevo, nella mia stronza esterofilia, di avere un pezzettino di Europa contemporanea in quel tempio dedicato alla più gretta mediocrità italica chiamato Auchan di Cesano Boscone. Dove tutto è livellato verso il minimo comune multiplo più mimino tra tutti. Invece, ecco un Kaiten-zushi. Come, per esempio, nel banale centro commerciale di Angel a Londra. Dunque siamo pronti. Mi dicevo tra me e me. Pronti per un’alternativa alla pasta precotta e all’obbligatorietà del carboidrato con formaggio e pomodoro. Posso scegliere, ho la possibilità di decidere che cosa mangiare.
Il Kaiten-zushi dell’Auchan di Cesano Boscone non era il miglior cino-giappo in cui ho mangiato, ma non era nemmeno il peggiore. Era onesto. Ecco. Onesto è la parola più adatta per descriverlo. Per un prezzo fisso molto popolare, sapendo bene che cosa tirare su dal rullo, si poteva pranzare rimpinzandosi in maniera onesta. Prezzo fisso e mini porzioni da prendere quante volte ti pare, era divertente mangiare lì.
Un locale molto molto grande, con due linee di rulli e una cucina enorme, parzialmente a vista. Il personale gentile. Era diventato un mio appuntamento fisso: che si fotta il mio analista, posso gestire le sensazioni negative che mi trasmette l’Auchan, se come premio ho un rullo che rulla con su della roba da mangiare. Mediamente buona.
Il locale, molto molto grande, era anche molto molto vuoto.
Anzi, no. Peggio.
Il “rullino” a pranzo si riempiva parzialmente di quelli che non trovavano posto negli altri luoghi di ristoro. Non che a far concorrenza al Kaiten-zushi ci fossero le migliori trattorie della Lombardia, o dei ristoranti stellati, o dei posti con una personalità in fatto di cibo. C’erano e ci sono tuttora: un Mac Donalds. Un kebabbaro gestito da italiani, perché il minimo comune multiplo umano è di base razzista e gli sta sul culo dare i soldi agli arabi. Un posto dove cuociono il riso precotto e per finire la piadineria con, a giudicare dalla fila, la piadina più buona di questo quadrante dell’universo. Non ho mai visto una coda simile per prendere la piadina nemmeno a Rimini alla Casina del Bosco. (Lì la piadina è veramente la più buona in questo quadrante dell’universo, e dico sul serio.)
Quindi, l’affamato cesanobosconese in gita all’Auchan non trovando un buco negli altri locali aveva, come tremenda, imprevista, ultima alternativa entrare al Kaiten-zushi.
Il gestore, furbo e intraprendente, capendo come ragiona Lo Italliano aveva iniziato a buttare sul rullo non soltanto cibo cino-giappo, ma anche porzioni di patatine fritte, cosce di pollo, pane, cozze bollite, gamberetti alla griglia… Gli affamati della suburba, schifando il sushi e il pollo gong bao si sedevano comunque, rimpinzandosi di patatine fritte.
Meglio. Sul rullo rimaneva più tonno per il sottoscritto.
Una volta, addirittura, il cuoco ha messo fuori i nigiri con il tonno affumicato. Li ho mangiati soltanto lì.
Per un po’, il Kaiten-zushi ha vissuto con queste due anime. Rullo fusion, tanto per dirla in modo carino. Però, è ovvio che un locale molto molto grande non può campare soltanto con quelli che non riescono a sedersi dalle altre parti. Anche se trova il modo di accontentarli. Quindi, il gestore furbo e intraprendente, invece di piangersi addosso è corso ai ripari. Come?
Ha aggiunto delle enormi postazioni a buffet con cibi caldi e freddi, allargando l’intero menù ai piatti italiani.
E ha svoltato.
Nei bancali dell’abbuffè, ora la gggente si sfonda di lasagne, pizza, patate, mozzarelle e pomodori. Salumi. Spaghetti. Prende mastellate di roba direttamente dai secchi di cibo cinese precotto. È lo stesso cibo cinese che girava sul rullo, ma prima, prenderne un piattino alla volta, si vede che non era sufficiente da un punto di vista psicologico. Scaravoltarti un badile di roba nel piatto deve essere più appagante per le belle anime che popolano l’Auchan di Cesano Boscone.
Giusto per farti un esempio, nel trogolo del cibo freddo, l’altro giorno c’era una vasca di rondelle di olive. Le olive snocciolate e tagliate a rondelle sono una componente, una parte di una ricetta più complessa. Invece no. La ggente si mangiava felice cofane di olive a rondelle.
Sul rullo ora girano dei tristi e sconsolati nigiri di salmone color “giacca di Fiorello nel 1993”. Oppure c’è il surimi.
Io, al furbo e intraprendente gestore gli voglio bene. Eravamo diventati amici e ti assicuro che capisco la sua scelta. La sua si è dimostrata una decisione corretta, infatti il suo locale ora è pieno. Pienissimo.
Ci sono stato venerdì e non ci andrò più. Ha perso un cliente, me, e ne ha guadagnati ottomila. Meglio per lui.
Allargando a dismisura il menù proposto, senza modificare il prezzo popolare dell’all you can eat, è ovvio che da qualche parte doveva pur risparmiare.
Tipo sulla qualità di quello che serve.
Ecco, diciamo che di mangiare merda non ne ho molta voglia. Ma a quanto pare, osservando la folla famelica che mi circonda, sono l’unico a pensarla così, e ad avere il palato dotato di un minimo di consapevolezza.
Non critico lui.
Critico la mediezza italica che desertifica un cino-giappo onesto, premiando invece un ibrido trogolo dove ci si abbuffa felice di roba che a chiamarla cibo gli fai un favore.
Uno splendido spaccato di quella che è la nostra società e di quello che sarà il nostro destino. Il livellamento verso l’infimo, pur di mantenere le nostre inutili, dannose, fuori tempo massimo tipicità italiane che tutto-il-mondo-ci-invidia.


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Vinoria, Chiavari.

24 settembre 2014 • By

Vinoria è un bar, enoteca, bottiglieria, un bel posticino infilato in un carruggio del centro di Chiavari.
Ex macelleria, riconvertita a locale, con un grande riutilizzo di arredi originali, e tanto di binario per le carni che scorre dal soffitto.
(Se ti interessa, cliccando qui ci sono gli architetti che ti spiegano quello che hanno fatto)
Vado spesso a Chiavari. Di solito mi concedo mezza giornata di vacanza, e l’altra metà lavoro. Quando la biblioteca è chiusa, oppure ho voglia di stare all’aperto, vado lì.
Nelle prime ore del pomeriggio è il posto ideale per scrivere. Mi piacciono da matti i tavolini e le sedie pesantissime in ferro, antiche e sbucciate.
Ci ho scritto parecchio al Vinoria: un paio di numeri di Long Wei, un episodio di Dampyr, tutta la parte finale di un’avventura di Nathan Never, e ho lanciato il nuovo sito-blogghe proprio da lì, grazie al loro capace wi-fi.
I ragazzi che lo gestiscono sono dei tipi simpatici. Tranquilli e gentili.
Una delle ragazze che lavora lì mi ha anche preso un po’ in giro perché mi siedo sempre allo stesso tavolo. Ehh… Abitudini da scrittore abitudinario.
Di solito quando mi piazzo al Vinoria, bevo ettolitri di caffè, hanno anche quello americano nella brocca. Una volta però ci ho preso l’aperitivo con Boris Battaglia. Abbiamo bevuto un ottimo Vermentino, accompagnato da una selezione di finger-food-stuzzichini ottimi e abbondanti.
Secondo Boris, il Vermentino era molto buono, e lui di vini ne sa.
Perché, in effetti, al Vinoria si dovrebbe bere del vino. Il locale serve a quello. Hanno scaffali interi di bottiglie e una selezione scritta sulle lavagne, tipo menù del giorno.
Se non ci vai per lavorare come faccio io, ma ci vai per diletto, è il posto ideale per bersi un calice in compagnia.

 


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Su Garden.

22 aprile 2014 • By

Il posto è fighissimo. Con i jeans sdruciti e la maglietta di Spider-Man, forse puoi sentirti un po’ a disagio.
Dato che sono un fottuto esterofilo, l’arredamento e l’atmosfera in generale mi ha ricordato parecchio il Thai Square di Londra. Il che è un bene, dato che quel locale londinese ha vinto un botto di premi per il design degli interni.
Lo dico subito, il conto che ti portano a fine pasto al Su Garden non è economicissimo. Quindi è un locale dove andare una volta ogni tanto, mica sempre. Comunque sia, sono fermamente convinto che non si possa sempre mangiare lammerda delle wokkerie all you can eat. Va bene, sì, è divertente mangiare secchi di roba a nove euro e novanta più le bevande, ma lo sappiamo tutti (forse) quello che stiamo mangiando e la sua conseguente qualità. Spero di non essere il primo a dirti che in quei posti siamo molto vicini ai confini dei limiti legali. Semmai un giorno, sotto falsa identità, ti dirò tutto quello che so.
L’importante è sapere quello che si sta mangiando. Io per primo devo essere portato via dalle forze speciali quando vado in un all you can eat, ma sono consapevole di quello che sto mangiando.
Fatto sta che ogni tanto devi trattarti bene. Ogni tanto devi mangiare bene. Ogni tanto devi mangiare benissimo, come si mangia al Su.
Il Su Garden è un ristorante asian fusion. Piatti cinesi, tailandesi, asiatici nel senso più ampio, cucinati e serviti come si deve. La cucina giapponese non è presente. Niente sushi, sashimi e via discorrendo. (Se sei in quella zona e vuoi mangiare del sushi, consiglio di fare cento metri a piedi e andare all’Endo in via Vittor Pisani)
Il Su Garden è il posto dove porterei qualcuno che vuole assaggiare per la prima volta la cucina asiatica.
La differenza tra la galassia degli all you can eat a novenovanta è tutta nella qualità degli ingredienti e nel modo in cui i piatti sono cucinati e serviti.
Non serve un esperto in cucina asiatica per avvertire la differenza abissale tra quello che si mangia al Su Garden e quello che si fagocita negli altri posti. Basta avere un palato medio per sentire i sapori degli ingredienti freschissimi e non congelati, dei piatti cucinati al momento e non riscaldati nel microonde, delle combinazioni originali, delle spezie vere e delle proposte non standardizzate per lo italico gusto.
Quando ci sono andato, per un pranzo con Ladyzilla, ho preso:
Zuppa Agropiccante.
Un trionfo. Un piatto difficile e molto complesso per le papille gustative. Il sapore cambia ogni otto secondi, passando dall’agro, al piccante, al dolce al piccantissimo. Quanto piccante? Da goccioline sulla fronte. Temperatura lavica, una zuppa che ti farebbe passare l’influenza. Ne avrei mangiate due.
Tagliatelle saltate Phai Thai.
Il piatto forte del locale, e con ragione. Fettuccine di riso fatte a mano con verdurine fresche, pollo, gamberetti e condimento piccantino. Attenzione per gli allergici: ci sono degli anacardi tritati sopra.
Spettacolare, per il gusto e la freschezza del piatto.
Pollo: ci ha pensato lui.
Volevo un altro piatto, ma il cameriere mi ha detto che mancava uno degli ingredienti e il cuoco non lo poteva fare. Ecco. Se in un ristorante ti dicono così, soprattutto se sul menù non ci sono settanta piatti diversi, significa che non hanno il congelatore pieno di roba che scaldano quando serve.
Mi ha portato un pollo saltato con pak choi e altre verdure. Il pollo era stato marinato ed era morbidosissimo.
Taro alla piastra.
Il Taro è tipo una patata. L’avevo assaggiato in versione dolce, nel bubble tea. Fatto alla piastra è altrettanto buono, sembrano delle crocchette, impanate e ripassate alla piastra, con dentro un purè di Taro.
Abbiamo speso un po’, se vuoi sapere quanto, il menù on line del ristorante ha i prezzi. Cosa rara per il webbe italiano che merita un applauso, a parer mio.
Ricapitolando:
Locale consigliato per quando ci si vuole trattare bene e mangiare ancora meglio.

Su Garden
Via Carlo Tenca, 12
20124 - Milano (Mi)
http://www.sugarden.it