Browsing Category

Workshop

Scrittura, Workshop

Diegozilla Lab, ULTIMA lezione. (DSB 40 di 42)

31 luglio 2013 • By
Zillalab015

Tipo che non mi ricordo più niente del Diegozilla Lab, è passato troppo tempo.
Eppure, nonostante sia passato un secolo, sia stata fatta una lezione finale a Lucca Comics, c’è Stefano che mi dice che manca l’ultima lezione.
Me lo dice da anni, educatamente, con messaggi postati un po’ qui e un po’ la. Me lo ha chiesto anche oggi su Twitter. Sperava che in questi 42 post in 24 ore ci fosse anche l’ultima lezione del Diegozilla Lab.
Allora, onestamente. No. Non c’era. Però questa follia dei 42 post in 24 ore mi sembrava una buona scusa per accontentarlo e farlo felice.
Quindi, non ricordandomi una meenchia, vado a rivedermi tutto il Lab.
Ecco qua il riassuntone linkone:

Fase 1, scrivere. Parte 1
Introduzione sulla scrittura legata ai generi narrativi. Varie ed eventuali.
Fase 1, scrivere. Parte 2
Il famoso righello.
Fase 1, scrivere. Supplemento 1
Approfondimento sulla questione del righello.
Fase 1, scrivere. Parte 3
Il protagonista, l’eroe classico e l’eroe moderno.
Fase 1, scrivere. Parte 4
I prologhi e gli epiloghi.
Fase 2, scrivere fumetti. Parte 1
La differenza tra scrivere e sceneggiare. Immagini in movimento e scrittura per immagini dirette.
Fase 2, scrivere fumetti. Parte 2
Vignetta come unità narrativa, tempi, spazi, scegliere che cosa raccontare.
Fase 2, scrivere fumetti. Parte 3
Come funziona la vignetta come unità narrativa.
Fase 3, sceneggiare fumetti. Parte 1
Dare un nome alle cose, modulo di sceneggiatura, varie ed eventuali.
Fase 3, sceneggiare fumetti. Parte 2
Linguaggio tecnico base per sceneggiare un fumetto.

Panico.
Così a occhio, non mi sembra che manchi qualcosa.
Così a occhio, tutto quello che dovevo dire l’ho detto.
Tipo che mancherebbe una lezione sui dialoghi e sulle didascalie, ma quella è una materia sulla quale la sensibilità personale nell’uso degli aggettivi fa la parte del leonissimo.
Allora che cosa manca?
Se Stefano dice che manca qualcosa avrà sicuramente ragione.
Di sicuro è colpa mia.
Avrò detto o scritto da qualche parte che avevo ancora qualcosa da dire in merito, anche se non era vero. In quel momento stavo raccontando palle e mi hanno creduto.
Di nuovo.
Potrei uscirmene in modo filosofico, dicendo che l’ultima lezione del Diegozilla Lab è che anche i maestri sbagliano, mentono e fanno un sacco di cazzate.
Però mi sa che Stefano mica se la beve.
Allora facciamo così.
E che dialoghi siano.
Copio e incollo, senza editare, senza riscrivere, la sbobinatura di una mia lezione sui dialoghi che ho tenuto eoni fa.
Eccola qua.
L’ultima lezione del Diegozilla Lab.

Le parti di testo sono collocate in questi due sistemi di comunicazione: DIDASCALIA e BALOON che esistono e convivono con gli elementi grafici.
Molti identificano il fumetto tramite il baloon, per quanto sbagliato, dà l’idea dell’importanza. Per molte persone sceneggiare un fumetto è scrivere il testo dentro didascalie e baloon.
Quello scritto nei baloon a volte risulta oltremodo didascalico, solo per far capire il fatto al lettore, rischiando di essere percepito in maniera banale. Il baloon è come una lente di ingrandimento, un concetto banale o superficiale viene amplificato risultando altamente fastidioso. Di solito si cazzeggia pochissimo nei dialoghi, ma il 90% sono in funzione della storia, di quello che succederà, ed è triste quando viene fatto in maniera diretta, attraverso il monologo. Questo è lo SPIEGONE del cattivo dei fumetti.
Per dare le spiegazioni al lettore ci basiamo sull’INTERRELAZIONE DINAMICA del linguaggio, cioè due modi per dire una cosa: 1)DIRETTA CLASSICA, per il fumetto classico, classica maniera in cui il fumetto spiega se stesso. 2)INDIRETTA, senza dire le cose ma sottointendendole, creando un’interrelazione tra i personaggi, che ha però la necessità di strutturare i dialoghi dei fumetti usando le classificazioni della personalità umana di Jung.

Il sistema per strutturare il dialogo in modo dinamico è usando le classificazioni della personalità umana di Jung: ES, EGO e SUPEREGO. Queste sono le ISTANZE PSICHICHE junghiane che sono tre valenze che ognuno di noi ha all’interno della propria personalità.
Il nostro vivere quotidiano è la continua ricerca di un equilibrio tra queste istanze.
− ES spinge per il soddisfare le proprie pulsioni, è l’inconscio, non ha un valore, è istinto puro.
− EGO è la parte coerente, che media.
− SUPEREGO è insieme di modelli comportamentali e che dà divieti e comandi, è la parte più normativa, legata al modello da perseguire, cerca di placare l’ES.

Per creare il corretto livello di tensioni, per creare un dialogo che ragioni per ellisse, bisogna creare PERSONAGGI ISTANZA che corrispondono in toto a una delle istanze psichiche, con un ragionamento di base: bisogna creare un’interrelazione dinamica tra ALMENO due personaggi, con delle personalità in contrasto (Vd Tex e Carson, torniamo al discorso di eroe e spalla). Bisogna creare casini per far venire fuori la narrazione.

Le DIDASCALIE si differenziano in tre tipi:
− DID. TEMPORALE, con scritta che indica tempo e luogo, banalissima.
− DID. FLUSSO DI COSCIENZA, in prima persona e genericamente sono i pensieri del personaggio. Non è facile non renderlo retorico, triste e noioso. Va fatto a parte, non mentre sceneggiate, non appartiene alla nostra tradizione di didascalia. La lingua italiana non ha quel ritmo dell’inglese, è molto più prolissa e meno asciutta (vedi -MENTE). Bisogna leggere poesie inglesi, ascoltare blues e leggeri fumetti in inglese che hanno un andamento preciso. E’ difficile che si realizzi in Italia.
− DID. CON VIRGOLETTE, vuol dire che stiamo leggendo un voce fuori campo (vfc), il discorso precedente viene continuato e completato in didascalia, importante per il “show, don’t tell”.

LINGUAGGIO e DIALOGO:
Ricordati di identificare sempre il soggetto, non perché il lettore è scemo ma non essendoci movimento o sonoro, dobbiamo essere sicuri del riconoscimento, ribadendo i nomi.
Meno baloon più è veloce da leggere. Evitate baloon di 26 righe, se il lettore lo salta, è perché lo sceneggiatore è un pirla, non è colpa del lettore, bisogna parcellizzare il dialogo in maniera dinamica (personaggi in contrasto come già visto) creando un ping pong di azione e reazione.
Il baloon gigante è spesso dato perché non è stato ben calcolato lo spazio, ma noi facciamo la scaletta e non abbiamo di questi problemi.
Con i dialoghi creiamo dei ritmi narrativi che in qualche misura incidono sui tempi di lettura.
Il dialogo può creare dei ritmi usando le meccaniche simili a quelle del volta-pagina: è interessante collocare la domanda del personaggio nell’ultima vignetta di pagina dispari e la risposta alla girata (che non sia “come stai?”), dando un ritmo anche fisico al discorso.
La lunghezza di un dialogo deve essere attutito dal movimento della camera.


Fumetto, il circolino del fumetto assassino, Scrittura, Workshop

Fumetti, come muoversi pragmaticamente (Uno)

5 dicembre 2011 • By
webbe

Nei commenti di alcuni post or sono, Ric chiedeva dei consigli su come muoversi in modo concreto nel favoloso mondo dei fumetti.
Non cercava dei consigli didattici, o delle informazioni generiche sul lavoro del fumettista. Ric chiedeva proprio delle indicazioni specifiche, su come hanno fatto i professionisti a diventare tali. Ha ragione. E’ vero, si frigge un sacco di aria nel nostro ambiente, poi i vestiti puzzano e si finisce per ululare alla luna. (O per sbroccare sfanculando nei commenti sui blog, ma non è il caso di Ric.)
Ho pensato a lungo a come rispondere alle sue richieste.
In effetti mi sono domandato a lungo quanto fosse legittimo rispondere. Dal mio punto di vista, assolutamente sbagliato, è importante comprendere alcune cose arrivandoci da soli, camminando con le proprie gambette.
Ho commesso i miei sbagli tutte le volte che ho potuto. Fino alla fine. Non mi sono mai serviti gli avvertimenti. Ho imparato e imparo in un unico modo: facendomi male.
Per cui, dal mio punto di vista: nessuna indicazione, nessun aneddoto, nessuna spiegazione, nessun manualetto, nessuna lezione potrà mai sostituire l’esperienza personale, o perlomeno il risultato ottenuto con un proprio ragionamento.
Questa sarà una serie di post pragmatici per modo di dire. Non verrà fatto un elenco di cose da fare e cose da non fare. No. Qui non funziona così. Qui funziona che cerco di farti arrivare da solo ad alcune conclusioni.
Nelle mie notte insonni, mentre mi rigiravo tra le coltri, pensavo:
- Qual’è la cosa più importante, da capire costi quello che costi, per muoversi agili nel mondo del fumetto? Torna indietro nel tempo a quando eri sbarbo e implume, al primisssssimo periodo della tua ca-ca-cariera, che cosa hai imparato allora che ti serve ancora oggi?
Ce l’ho!
Dopo attento ragionamento, ho capito che tutto quello che mi serviva sapere su come muovermi  nel mondo del fumetto, me lo ha insegnato Aldo Maccione.
Nello specifico, mi riferisco ad Aldo Maccione in: “Sono Fotogenico”, nella parte dell’avvocato Pedretti. Capire il perchè del Pedretti è così importante che non può essere spiegato ulteriormente. Le risposte non possono essere servite belle e pronte in una vaschetta da infilare nel forno a microonde.
Bisogna arrivarci da soli.
Capire, conoscere e ri-conoscere i vari Pedretti e i Cripto-Pedretti.
C’è così tanta verità, neorealismo, vita vissuta, cronaca, autenticità nel rapporto tra Pozzetto e Maccione che tutte le volte mi vengono quasi i lucciconi.
Pedretti può essere declinato in altre mille maniere. Nel nostro ambiente in ballo non c’è soltanto il denaro, anzi. Il Pedretti moderno dell’editoria fumettosa alla pecunia non ci pensa, freme su altre frequenze, ma è pericoloso allo stesso modo. E’ anche lui sudato e volgare, ma essendo molto più chic risulta ancora più subdolo. Capisci, non lo fa per piacer suo, è missione per conto della cultura.
Ovviamente il nostro Pedretti non è un agente, e non è necessariamente un editore. E’ soltanto uno che c’è.
Riconoscere il Pedretti. Poi sta a te decidere se lavorarci oppure no. Sono scelte.
Questa è la prima cosa importante da sapere per muoversi pragmaticamente nel mondo del fumetto, le altre le vedremo dopo.


Fumetto, Scrittura, Workshop

Diegozilla Lab: Fase 3: Sceneggiare Fumetti_ Parte 3

20 settembre 2011 • By

Subito al sodo che l’intervallo è durato fin troppo.
Ah, bene, occhei, abbiamo visto i nomi delle inquadrature.
Ho una storia, la ragiono in un certo modo, la trasformo in soggetto e la voglio raccontare in vignette attraverso una scrittura per immagini dirette non in movimento.
I nomi delle inquadrature mi servono per inquadrare l’immagine che voglio mettere dentro la vignetta, seguendo il concetto della vignettizzazione del flusso narrativo.
O dell’elefante.
Scegliendo l’immagine per la vignetta, io compio la mia scelta registica. Scelgo l’inquadratura in base alle esigenze della storia che sto raccontando. La regia di vignetta (lo storytelling, per dirla all’americana) è una componente fondamentale della narrazione fumettosa. Il risultato finale è il frutto di due storytelling, di due regie, quella dello sceneggiatore e quella del disegnatore.
Ma la vignetta non è lì da sola per i cazzi suoi. Ne ha un’altra di fianco e delle altre sotto o delle altre sopra.
E di solito, è lo sceneggiatore che decide la composizione delle vignette.
Scegliere la disposizione delle vignette, è la prima scelta registica che si compio scrivendo.

Premessa Uno: Una cosa alla volta. Oggi affrontiamo la pagina dispari. Con la pagina pari faremo a cazzotti la prossima volta.
Premessa Due: Sì, sto usando come esempio la classica tavola bonelliana. Le composizioni più complesse le studieremo nel master di secondo livello.
Alùra, tavola classica italiana a sei vignette e tre strisce.
Devo tener conto della regia di vignetta, della regia di striscia e della regia globale della tavola.
E’ bene non ripetere mai situazioni o inquadrature, a meno che non sia una precisa scelta legata al racconto. Come si capisce se è una ripetizione o una scelta narrativa?
Si capisce.
Mentre si scrive, decidendo le varie inquadrature, bisogna stare attentissimi alla lettura verticale:
1 e 3
2 e 4
3 e 5
4 e 6
La percezione della tavola scritta, spesso, non tiene conto della sovrapposizione accidentale di inquadrature o situazioni identiche. E’ abbastanza facile avere sotto controllo “il di fianco”, ma è meglio imparare subito a guardare anche “il sopra” e “il sotto”.
Chiaro, non muore nessuno se c’è un PA nella 3 e un PA nella 5, ma è meglio che non ci siano, per una questione di lettura e di dinamicità della tavola.
Le differenze visive tra una vignetta è l’altra possono anche essere minime, ma devono esserci.
Questo implica la capacità di muoversi all’interno della vignetta. Spesso si parte dal presupposto che ci sia una sorta di cinepresa virtuale a riprendere quello che accade. E la posizione in cui viene messa questa cinepresa virtuale rende diverse anche delle inquadrature simili.
Il famigerato PA di cui si parla prima, può essere “ripreso” dall’alto, dal basso, frontale, laterale, di tre quarti, leggermente dall’alto, leggermente dal basso, e così via. Basta dirlo, e avere bene in mente i movimenti che si vogliono dare alla sequenza.
Il ritmo visivo, può essere gestito con questo schema.

Partiamo dal presupposto che A sia sempre differente da B e viceversa.
La differenza può essere nel tipo di inquadratura, nel punto di vista, e anche nel soggetto che viene inquadrato. La gestione alternata degli elementi impedisce ripetizioni e sovrapposizioni. In più, per esempio, aiuta a rendere dinamico un dialogo, se A e B sono due personaggi.
Determina il montaggio incrociato se A e B sono due situazioni.
Può essere utile nelle scene di azione se A è azione e B è reazione.
Nella gestione dinamica della regia di tavola, un grosso aiuto arriva dalle vignette lunghe.

Quella qui sopra è una tavola:
1/2
3.4.
5.6.
Sposti o replichi la vignetta lunga e hai le possibili varianti:
1.2.
3/4
5.6.

1.2.
3.4.
5/6.

1/2
3.4.
5/6

1/2
3/4
5.6.

1.2.
3/4
5/6

1/2
3/4
5/6

(Ci sono tutte?)
La vignetta doppia risolve al volo il problema delle sovrapposizioni accidentali. Almeno in teoria. Poi se fai un PP gigante nella 3/4 dopo averne fatto uno nella 2, è un problema tuo.
La vignetta doppia è bella, è grande, dentro ci stanno un sacco di cose, e allarga la lettura della tavola.
E’ utilissima per rendere chiare le cose, per far capire le posizioni dei personaggi e il dove ci troviamo.
Nei cambi di sequenza, in cui cambia il teatro degli eventi è sempre bene cominciare con un doppia (lontano) per poi stringere sulle singole (vicino).
Nelle uscite di sequenza, per rendere chiaro che ce ne stiamo andando, è bene partire dalle singole (vicino) e finire con una doppia (lontano)
Azioni e situazioni complesse hanno bisogno di una doppia, per rendere chiara la lettura.
A volte anche di una quadrupla:

Ovvio che può essere anche sotto, e accompagnata da una doppia, eh.
E poi c’è questo:

Tre vignette sulla stessa striscia.
(Spostale per conto tuo per vedere le varianti. Fatto sta che l’applicazione a massimo volume delle tre vignette crea una tavole di nove vignette, occhei?)
Le tre vignette affiancate, oltre a risolvere eventuali problemi di spazi narrativi, sono utili per creare illusioni.
Illusioni de che?
Illusioni di movimento di macchina. Una sorta di zommata cinematografico/fumettosa, un montaggio incrociato serrato…
Il fumetto, con immagini statiche, grazie all’affiancamento di tre (o più) vignette, aumenta la percezione di movimento nel lettore. Per riuscirci, devo scegliere tre inquadrature vicine tra loro, per ampiezza e per tipologia.
E’ un ora che parlo e ho soltanto deciso la forma e la composizione delle vignette. Non ho ancora scelto che cosa metterci dentro e con quale inquadratura.
Mi sa che serviranno un paio di supplementi.

La mia domanda è:
Perché la pagina pari ha bisogno di una lezione a parte tutta per lei?

Invece, per le tue eventuali domande o chiarimenti, usa pure i commenti.


Fumetto, Scrittura, Workshop

Diegozilla Lab: Fase 3: Sceneggiare Fumetti_ Lezione 2

19 maggio 2011 • By

Il tempo è tirannosauro.
Finita la mia dotazione standard di scuse, rimane solo un orologio che scorre veloce, ottomila cose ancora da fare e un bel po’ di fiatone.
Nel turbine rovente dei molteplici impegni, chi ne fa le spese è il Lab. Non essendo qualcosa di estemporaneo, richiede attenzioni e cure per essere scritto in modo soddisfacente.
Ecco perchè il calendario delle lezioni ha preso una cadenza mensile, e credo proprio che sarà mensile anche per le prossime due lezioni. Le ultime due.
Oggi grande festa. Si parla di linguaggio tecnico, e dato che non mi sembrava funzionale parlarne e basta, scatta il regalo.
Per farmi perdonare la latitanza, gli esempi visivi sul linguaggio tecnico di questo post sono le matite mai-viste-prima del grande Marco Santucci. Sono tratte da Dampyr 120: “L’ombra del drago”, sceneggiatura del sottoscritto.
Forse serve un po’ di ripasso. Prima, magari rileggiti le fasi di introduzione, grazie!

Come ti ho fatto vedere qui, per descrivere l’immagine che va disegnata nella vignetta, indico l’inquadratura secondo me migliore per quella vignetta lì e per quel preciso momento della storia.
Accanto, indico il suo punto di vista: Frontale, Laterale, dall’alto, dal basso, di tre quarti…
Esempio: PP frontale di Harlan. Oppure CM laterale leggermente dall’alto.
Le inquadrature hanno i loro nomi. Eccoli qua, partiamo da “vicino” e arriviamo “lontano”:

DETTAGLIO.
Parte di un qualcosa di più grande, che altrimenti non riuscirei a vedere bene. Da un punto di vista narrativo significa dare una grande rilevanza a ciò che viene inquadrato.
Ovvero, porto al centro della scena un elemento che altrimenti passerebbe inosservato.
Serve quindi un motivo valido per farlo.

In questo caso specifico: la mappa è “più grande”, quindi uso un dettaglio per far vedere un punto preciso.
Oppure, un altro dettaglio:

Nel disegno qui sopra, si vede in dettaglio un riflesso nella pupilla che serve a dare un senso preciso a tutta la sequenza. (Sequenza che vedremo meglio nella prossima lezione).
Usare un dettaglio significa dire al lettore: Attento! Guarda bene questa cosa che è importante!

PRIMISSIMO PIANO (PPP)
Inquadratura molto stretta del volto o della testa. Ci porta molto vicino al personaggio. Il suo umore, la sua espressione, il suo volto sono al centro dell’attenzione.
C’è poco spazio per il baloon, e l’espressione del viso deve dire tutto.

Non è l’ideale se il personaggio deve parlare tantissimo. Inutile usare un PPP se poi deve essere coperto con il baloon.
Se in PPP si parla, si diranno delle frasi secche e d’effetto.

PRIMO PIANO (PP)
Inquadratura più ariosa della testa, vediamo anche un pochino delle spalle. C’è abbastanza spazio per parlare nel baloon e compiere varie azioni.
Si può usare anche per inquadrare oggetti di medie e piccole dimensioni nella loro totalità.
(Domanda trabocchetto: Invece, se vediamo soltanto il tasto asterisco della tastiera di un telefono, che inquadratura è?)

Ovviamente, possono esistere inquadrature diverse o uguali nella medesima vignetta.
Qui sotto, per esempio… Un PP laterale. Poi un PP frontale e uno laterale.

MEZZA FIGURA (MF)
Un corpo dalla cintura in su, o dal petto in su. Inizia a vedersi anche lo sfondo, ma la vignetta è ancora dominata dal personaggio.

La MF può essere pura, se il personaggio è inquadrato così in modo diretto, oppure può essere una MF “di conseguenza” se, per dire, il personaggio è seduto dietro una scrivania o se un elemento qualsiasi gli copre le gambe.
Per la MF, allargandoci, entra in campo l’ambiente e le figure dei personaggi possono vedersi con la stessa ampiezza di inquadratura.

PIANO AMERICANO (PA)
Simile alla MF, il personaggio si vede fino alla coscia o ginocchio. Lo sfondo inizia ad avere una preponderanza, ad essere  ben delineato.
Vediamo corpo e ambiente circostante.
Spesso il PA viene usato come inquadratura “di passaggio” per dialoghi lunghi o situazioni interlocutorie.

Ma nulla vieta di usare un PA anche per delle serrate scene di azione, e non soltanto per i dialoghi.

CAMPO MEDIO (CM)
TOTALE (TOT)
FIGURA INTERA (FI)
Le metto tutte assieme, perchè più o meno l’ampiezza dell’inquadratura è la stessa.
Personaggi e ambiente circostante iniziano a scambiarsi i loro ruoli. Vediamo le figure umane per intero, all’interno di un contesto riconoscibile e ben definito.

L’inquadratura può essere usata sia nelle scene interne che in quelle esterne. Va usata quando è importante mostrare le cose nella sua globalità.
Si capisce bene chi è in scena e dove si svolgono gli eventi.

PANORAMICA
Si usa per situazioni esterne, è molto complessa, prevede minimo una vignetta doppia.
Non esiste sintesi, è estremamente narrativa, dove ambiente esterno e personaggi sono raccontati allo stesso livello di impegno.

La Panoramica è un coro. Riconosco i personaggi, riconosco l’ambiente. Il tutto è molto bilanciato.

CAMPO LUNGO (CL)
CAMPO LUNGHISSIMO (CLL)
Si perde il bilanciamento perfetto tra ambiente e personaggi. E’ l’ambiente e basta a farla da padrone.
Si può lavorare di sintesi sulle figure umane e sugli elementi più piccoli.
In sostanza, il CLL è un CL più lontano, ma è difficile stabilire a quale grado di distanza un CL diventa un CLL.

La QUINTA.
E’ un elemento fortemente in primo piano, e di conseguenza molto vicino al punto di vista del lettore.
Serve a dare profondità prospettica alla vignetta, ma non solo…

La mano che scosta la tenda a lato della vignetta è di quinta. In questo caso, serve a dare profondità, creando anche una sorta di soggettiva del personaggio.

Qui sopra invece, a essere di quinta sono le gambe del cattivo. Formano una quinta a triangolo, con l’eroe visibile in mezzo.
Usare questa quinta significa dare alla scena un impatto drammatico.
La quinta stabilisce le posizioni dei personaggi nelle sequenze lunghe, “sporca” l’inquadratura rendendola meno piatta.

Lo SCORCIO.
Io lo considero l’equivalente di una scena girata con la camera a spalla.
Inquadratura dinamica, non perfettamente in asse. Va un po’ a gusto del disegnatore.

E guarda caso, questo scorcio dal basso, è reso “mosso” dalla tipa che vediamo di spalle.

La prossima volta vedremo come applicare questo linguaggio e quali sono le interazioni tra le varie inquadrature.
Entreremo nello specifico, vedendo che cosa significa usare un punto di vista piuttosto che un altro, o un’inquadratura piuttosto che un altra…
Comunque sia:
Con il linguaggio tecnico bisogna stare sereni. Non bisogna usare il centimetro per calcolare con precisione matematica quando una Mezza Figura diventa un Piano Americano. Se ti perdi in queste questioni di millimetri rischi la sanità mentale.
Le vignette possono essere “sporche”, con diversi elementi posti in posizioni diverse, c’è chi li descrive uno per uno, dicendo per esempio: Gino sulla destra è in MF, Mario a sinistra è un PA, Carletto un PP di tre quarti di quinta dal basso guarda verso fuori campo.
Si può fare, così come si può mettersi in bocca una tazzina da caffè. In quei casi è meglio dare un inquadratura globale, un bel Totale, e sarà poi il disegnatore a disporre i personaggi senza diventarci matto.
Fissarsi come dei monoliti sulle inquadrature è da loser. Non è l’intransigenza tecnica che trasforma uno scribacchino in Alanmùr.

Domande e chiarimenti, nei commenti, please.


Fumetto, Scrittura, Workshop

Diegozillab: Fase 3_Sceneggiare Fumetti_Lezione 1.

13 aprile 2011 • By

Le cavallette! La migrazione degli Gnu, il criceto mi ha mangiato il portatile! Ritardi! Casini! Milioni di cose da fare! Uicchènd a Londra!
Riprendo il Diegozillab con estremo ritardo, ma lo riprendo. Eccolo.
Iniziamo le ultime lezioni, quelle specifiche, tecniche, solo per fare i fumetti e basta.
Dato che entriamo nello specifico dello specifico, è necessario usare tutti gli stessi termini, altrimenti non ne veniamo a capo. Quindi, questa prima lessssione sarà una sorta di glossario.
Così ci si capisce e non si prendono lucciole per lanterne.

Per Idea, si intende questo:
Il Western con gli Ufo.

Per Soggetto, si intende questo:
Titolo: Alamogordo 8 tavole autoconclusive.
Uno sceriffo segue un pistolero, arrivano in una città dimenticata al confine con il Messico.
Arrivano i dischi volanti, con a bordo i Grigi di Zeta Reticuli. Temporanea alleanza. Sconfiggono l’invasione aliena. Lui lascia andare il pistolero, gli da un po’ di vantaggio, poi riprende la caccia.

Per Sceneggiatura, si intende questo:

TAV 2

1: Pa laterale, Art a cavallo, beve un sorso di whisky sotto il sole cocente.

Dida: Lo stavo per raggiungere un quel buco di città dove si era rintanato, forse credeva che di
fronte a questo deserto mi sarei fermato…

2: Campo Lunghissimo, tipo cartolina. Deserto, sole cocente, Cow Boy piccolino piccolino che cavalca verso il fondo della vignetta.

Dida: Sbagliava.

3/4: Classica, schifosa, cittadina di frontiera western. Vediamo la main street con le case di legno disposte sui due lati, ci sono le classiche cose delle cittadine di frontiera, compreso il Saloon che vediamo sul lato destro. C’è della gentaglia in giro, e non c’è l’ufficio dello sceriffo.
Vediamo Art arrivare a cavallo, lento, cavalca per la Main diretto al saloon. Qualcuno lo guarda male.

Dida: Alamogordo era solo un grumo di sabbia, era segnata sulle carte, così i viaggiatori sapevano
da dove NON passare per raggiungere il Messico.

Dida: Non c’era nemmeno l’ufficio dello sceriffo, era il posto ideale per nascondersi.

5: Cm frontale.
Art di spalle, lega le briglie del cavallo alla passerella di fronte al saloon.

Dida: Sapevo dove trovare il mio uomo.

6: Frontale, Pa, Art entra nel saloon aprendo le classiche porte a sportello.

Dida: Alamogordo non aveva uno sceriffo, non era un problema.
Dida: La taglia diceva: Vivo o Morto.
Dida: E i morti sono più semplici da trasportare.

(Nota: Storia pubblicata eoni fa su Skorpio, disegnata da Walter Venturi)

Per Trattamento, si intende una roba che servirebbe un blog apposta per scriverlo tutto.

Per Racconto, si intende questo:
Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell’estremo limite della Spirale Ovest della Galassia, c’è un piccolo e insignificante sole giallo.
A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c’è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un’ottima invenzione.
(Douglas Adams, La guida galattica per gli autostoppisti)

Per Articolo, si intende questo:
LOS ANGELES - Era l’idolo di milioni di ragazzini: la star della tv Skylar Deleon, reso celebre dalla serie «Power Rangers», è stato giudicato colpevole di triplice omicidio da un tribunale americano. Rischia dunque la pena capitale. L’allora ragazzo prodigio, oggi 29enne, approdato nel serial a 14 anni, si è trasformato nella vita reale in un feroce omicida. Da tre anni è rinchiuso in un carcere californiano a Santa Ana.

Bene. Noti le differenze tra Soggetto e Racconto?
Il Soggetto NON è narrativo. Il soggetto spiega la storia. Punto.
Che storia spiega? Quello che verrà raccontata poi, in sceneggiatura.
Ho messo apposta una pagina di sceneggiatura senza dirti niente, così prima si notano le cose strane, e dopo ne parliamo. Dopo.
Hai presente tutto il discorso legato alle vignette? All’importanza di ragionare e di pensare alla storia usando la vignetta come unità narrativa? Ecco.
La sceneggiatura per un fumetto descrive vignetta per vignetta tutto quello che accade nel fumetto.
Ogni vignetta viene raccontata, spiegata, analizzata, giustapposta, eccetera ecceterone.
Le pagine le chiamiamo tavole. C’è una corrispondenza tra tavole di sceneggiatura e pagine del fumetto. Per ogni pagina corrisponde una tavola di sceneggiatura. Significa che per un fumetto di 100 pagine, qualcuno ha scritto 100 tavole di sceneggiatura.
Vignetta per vignetta, con dialoghi e tutto quanto.
Io, di solito, le sceneggiature le scrivo così:

(Clicca che diventa grande e ci sono scritte delle cose che magari ti interessano.)

La sceneggiatura non è un prodotto narrativo autosufficiente come un racconto o un romanzo. La sceneggiatura è soltanto il primo passo di un prodotto narrativo autosufficiente che si chiamerà fumetto, e che sarà pronto tra un bel po’.
Il lettore si ritroverà tra le mani il frutto finale di un lungo lavoro, un lavoro che si inizia scrivendo, si prosegue disegnando, e si conclude ri-scrivendo e ri-disegnando.
La tua sceneggiatura, a meno che tu non sia l’Alan Mùr del futuro, la leggeranno soltanto due persone: il tuo editor e il tuo disegnatore. E’ rarissimo che lo script arrivi sotto gli occhi dei lettori. Loro leggeranno unicamente il prodotto finale.
(E’ un discorso generico, sia chiaro. Poi le limited edition ultra fan collector con lo script a fronte esistono ed esisteranno sempre. Ma è roba per appassionatissimi, chiaro?)
Questo cambia le cose?
Un sacco. Cambia il modo con cui uno scrive. L’importante, nelle descrizioni delle vignette, delle strisce e delle tavole, è essere chiari verso il disegnatore.
E’ a lui che ci si rivolge in sceneggiatura, è a lui che si fanno appunti, spiegazioni, schemini e tutto quanto. La missione, per entrambi, è quella di riuscire a realizzare un buon prodotto finale.
Un buon prodotto narrativo autosufficiente chiamato fumetto.
Per essere il più chiari possibile, oltre alla bravezza personale degli sceneggiatori, c’è un linguaggio tecnico, simile a quello del cinema.
Il linguaggio tecnico, grossomodo comune a tutti. Descrive campi e piani, dando dei nomi tecnici alle inquadrature. Questo non facilita le cose per un cazzo.
No, non è vero. In un certo senso le facilita per il disegnatore, ma incasina abbestia tutti quelli che arrivano dalla televisione e dal cinema e vogliono fare fumetti.
Vale lo stesso discorso degli scrittori in prosa. E’ complicato passare dalle immagini evocative a quelle dirette. E’ altrettanto complicato passare dalla scrittura in sequenza con immagini in movimento, alla scrittura per vignette con immagini ferme.
Quelle belle paroline che danno i nomi alle inquadrature le vedremo nella prossima lezione.

Come sempre, eventuali domande, nei commenti. Grazie.
Se qualche domanda necessita di una risposta lunghissima, verrà trasformata in una lezione bis.
Però noto che avete la straordinaria capacità di rispondervi a vicenda, senza il mio intervento!