Si stava meglio con il 56k?

Mi dicono che, nei favolosi tempi in cui viviamo, di un post su un blog la gggente legge soltanto le prime tre righe.
Dato che a me non interessa avere quei lettori lì, i contenuti di questo post arrivano tra un po’, non ora.
Per cui, perdo un po’ di tempo.
Tanto quelli delle “tre righe” si limiteranno a diffondere (forse) la foto qui sopra, sempre che sappiano chi è quel tizio e siano in grado di comprendere il senso del testo.
(Oppure lo faranno comunque.)
Intanto quelli smartphonano, poi si rompono le palle e vanno a giocare con il primo livello gratis di un giochino qualsiasi.
Dai, forza, che devi scendere alla prossima.
Non hai tempo per me, non sono la versione on line delle palline del pluriball da schiacciare.
Ho superato abbondantemente le tre righe.
Bene.
Eccoci.


Quando Tim Berners-Lee e Robert Cailliau hanno creato il World Wide Web, sapevano che avrebbe avuto un fortissimo impatto sociale.
Tim Berners-Lee infatti, a domanda risponde:
“ll Web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica. L’ho progettato perché avesse una ricaduta sociale, perché aiutasse le persone a collaborare, e non come un giocattolo tecnologico. Il fine ultimo del Web è migliorare la nostra esistenza reticolare nel mondo.”
Sono passati svariati anni dall’apertura della prima pagina web, e dieci anni dalla creazione di Facebook. Oggi, la nostra esistenza reticolare nel mondo è fatta di bufale, di minorati mentali che girano video con migliaia di visualizzazioni, di scie chimiche, di complottisti geotaggati e di like che se vuoi puoi anche comprarli.
Tim Berners-Lee e Robert Cailliau si sono dimenticati un pezzetto fondamentale della loro equazione: non hanno considerato come gli utenti avrebbero usato il web.
L’innovazione sociale del web oggi si misura in base a quanti si bevono le bufale che vengono diffuse, o con quanta dose di cinismo serve per ridere di fronte a un nuovo video di Rosario Muniz o della nuova star idiota/virale di You Tube.
Perché è questo che facciamo.
Non stiamo usando il web per diffondere delle figate fatte per essere delle figate.
Usiamo il web per diffondere merda, in un cinico, postmoderno, sarcastico web/mondo, dove tutta questa merda fa il giro su sé stessa e diventa una figata.
La mia esistenza reticolare nel mondo non ne sta giovando. Affatto.
Non mi fanno ridere le bufale lanciate da “Il Lercio” e dagli altri siti con nomi e grafiche simili alle testate giornalistiche reali.
Anzi, per dirla tutta, vista la reazione sociale, vista la perdita di controllo virale di quei contenuti, siti come “Il Lercio” e similari sono molto pericolosi e andrebbero chiusi.
Chiusi.
Tu mi dirai, o mio caro cinico sarcastico giovine disilluso creatore di contenuti fake, che se la gggente si beve le tue bufale è colpa della gggente e non colpa tua.
Forse.
Stiamo comunque parlando della stessa gggente che soffre di analfabetismo funzionale.
Ti piace vincere facile, eh?
La bufala via web è un cerino acceso che viene lanciato nella pozza di benzina sociale contemporanea.
La bufala, che nasce come goliardica, incendia emotivamente un mondo reale fatto di esasperazione, ricerca di un colpevole per il proprio malessere, neo strategia della tensione ben manipolata dai media, malcontento e ignoranza belluina. Ignoranza che ogni tipo di dispositivo tecnologico amplifica a dismisura.
Le notizie saranno anche false, ma generano scazzi reali.
La violenza che le vittime delle bufale esprimono nei commenti è violenza vera.
Magari a te fa ridere un sacco, ma a me no.
Per niente.
E tu, amico mio, ebbro dei click che salgono e dei like a pioggia, non ti sei fermato nemmeno per un momento a riflettere sulla ricaduta sociale di quello che stai facendo.
- Ma è fiction!
Mi dici.
- No. Io faccio fiction.
Quello che fai tu è prendere malignamente per il culo dei portatori di handicap.
Sì, ho detto proprio: portatori di handicap.
L’handicap è nel non essere in grado, con due ricerche su Google, di verificare le notizie e capire se si tratta di una bufala oppure no. L’handicap è l’evidente gap cognitivo di cui soffre la nuova ondata di gggente su internette.
(Non sono io a essermi inventato il concetto di handicap digitale, lo ha coniato
Nicholas Negroponte del MIT di Boston.)
Quello che fai tu è circonvenzione di incapace. Dove l’incapacità della vittima è sia cognitiva che tecnica. Dove il tuo profitto è nei tuoi contatti che salgono e nei like che ottieni.
Può essere divertente prendere per il culo gli handicappati e trarre profitto dagli incapaci, ma sono comunque due azioni divertenti che la legge punisce.
Una società civile tende a difendere i soggetti più deboli. Siamo abituati a ragionare in termini non digitali, difendendo e proteggendo i portatori di handicap fisici, disagi mentali e difficoltà di apprendimento. Bisogna trasferire questo concetto anche al mondo digitale dal momento in cui, in modo molto rapido, la società si è trasformata in social.
I computer hanno smesso di essere dei cosi che tenevi su un tavolo a prendere polvere e sono diventati degli aggeggi che ti porti in tasca. Siamo costantemente connessi. La diffusione massiva di device portatili è stata l’innovazione tecnologica più sottovalutata della storia. Ma di questo avremo modo di parlarne in altri post.
Il sociale, il pubblico è diventato social. Vivi lì, ti relazioni tramite una piattaforma, quello che accade in quello spazio ha conseguenze dirette sulla tua realtà fisica ed emotiva.
In ambiente social, in contesto digitale, i soggetti più deboli possono farsi ancora più male che in ambente reale.
Aver sottovalutato il massiccio uso di smartphone e similari, e la trasformazione da sociale a social ha portato a delle conseguenze orrende.
La prima che mi viene in mente è quello che accade su Ask.fm. L’unico social network dove non basta disconnettersi, per uscirne ti devi ammazzare.
La seconda è la legittimazione assoluta del sarcasmo. Sarcasmo e non ironia.
C’è differenza, anche se molti di quelli che usano il sarcasmo credono di essere ironici.
L’ironia è una sdrammatizzazione positiva, il sarcasmo è nocivo, maligno e secondo gli psicologi è il frutto di una prolungata frustrazione.
Il web e i social sono un tempio in onore del commento sarcastico. Della presa per il culo pungente, della critica di rinterzo. Quindi, i creatori di bufale e gli handicappati digitali che ci cascano diventano delle star. Chi volendo, chi suo malgrado.
Avendo trasformato la società in social, non si turba più un ordine pubblico reale.
La gente non scende in strada urlando in preda al panico per colpa delle bufale, questo no. Però, se spostiamo il concetto di ordine pubblico alle piattaforme social, la vera e unica piazza contemporanea, è evidente quanto sia poco goliardico l’effetto della bufala e quanto, invece, sia applicabile l’articolo 656 del Codice Penale.
Senza tener conto della percezione deviata della realtà.
L’omino nella foto che apre questo post una volta ha detto:
- Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità.
Con le condivisioni, i rimandi, e la possibilità di diffondere e ripetere il contenuto senza dover raggiungere la fonte originale, è impossibile tenere traccia dell’estensione dello scherzo goliardico della notizia-cazzata.
Si stanno creando mille realtà dove quel contenuto è percepito come vero, ed è diventato una verità incontrovertibile.
Le bufale, nel secondo o nel terzo cerchio di diffusione virale creano delle certezze che nessuna ricerca su Google potrà mai minare, delle convinzioni che nessuna discussione potrà mai chiarire.
In queste realtà esistono davvero degli zoo dove si può fare sesso con gli animali.
E, mi dispiace, ma non si può sempre archiviare la cosa dicendo: è un problema loro.
Visto che siamo tutti costantemente interconnessi è un problema anche mio.
O meglio, è un problema della mia esistenza reticolare nel mondo che grazie a te, non è affatto come dovrebbe essere.