Dampyr, Fumetto, Sceneggiature, Scrittura, Workshop

Occhi (del lettore)

7 aprile 2007 • By

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Attenzione.
Ci sono spoiler a mazzi.

Ora che è uscito, posso parlarvi un po’ di quello che ho fatto nel Dampyr di questo mese.
Non prima di invitare tutti a una standig ovation per lo splendido lavoro di Fabio Bartolini, okay, io sono di parte, ma chi se ne frega!
Fabio ha fatto un lavoro eccezionale, e se l’albo incute un po’ di timore, è soprattutto merito suo.
In “Occhi di gelo”, il cui titolo alternativo era prima: “ Il Volo dei Dannati” e poi: “Terminal 13”, ho tenuto una precisa scelta di sceneggiatura.
Ho provato a gestire la narrazione seguendo una logica ferrea sui punti di vista, un gioco sui colpi di scena e la suspance dove il personaggio principale è il lettore.
Il lettore sa, vede e percepisce per primo ogni elemento disturbante.
Il lettore è chiamato a raccontarsi da solo tutte le dinamiche degli omicidi, infatti, non a caso, le uccisioni avvengono sempre fuori campo, ed è stata una scelta un po’ strana per un tamarro come me.
I pignoli diranno: Diè, che cazzo dici, il primo omicidio è in scena!
E io rispondo: Ah, sì, nella versione stampata sì, per motivi redazionali la vignetta è stata corretta.

Comunque, giusto per fare un esempio della logica del “lettore in primo piano”, pagina 48, Pagina 61 e 63, sono il frutto di questa scelta narrativa. Gli elementi emotivi vengono proiettati prima verso il lettore e poi verso i personaggi.
Non ho inventato nulla, sia chiaro, questo modo di strutturare il rapporto con chi sta leggendo è molto cinematografico e lì, nel cinema, è stato portato ai massimi livelli dal maestro Hitchcock, basta guardare “Nodo Alla Gola” per 10 minuti, per capire fino a che punto può essere tirata quel tipo di corda emotiva.
C’è un’unica cosa che il lettore non sa, ed è il perché, il motivo che spinge i quattro fantasmi ad agire contro i vivi, e l’unico, viste le caratteristiche del personaggio, che può fare luce su queste motivazioni è Harlan.
E così, il lettore, attraverso Harlan, apprende ciò che, anche nel suo ruolo da “spettatore privilegiato”, non potrebbe apprendere.
Allo stesso modo, ci sono cose che soltanto il lettore conosce, ci sono elementi che rendono (a mio avviso, e nella migliore delle ipotesi possibili) questo albo diverso a seconda di chi lo ha letto.
Una su tutte è il volto della figura a pagina 52.
Il non voltarsi, il non esplicitare visivamente ciò che soltanto Dellroy vede, il non raccontare quell’elemento, è in realtà un paradosso narrativo.
Perché quel volto viene visto, quell’elemento viene raccontato.
Dove?
Nella mente di chi legge.
Ciò che manca viene completato, e sono sicuro che quel volto qualcuno lo ha visto.
Tutto questo funziona in base al livello di patto di complicità che riesco a instaurare, se riesco a fare breccia nella sospensione dell’incredulità e se riesco a portare chi mi legge all’interno del mio mondo narrativo.
Altrimenti, ciccia.
Non funziona niente.
E’ un rischio che ho deciso di correre, anche perché non posso piacere a tutti, non sono mica un cucciolo di foca.