Browsing Tag

supercontinuity

Cinema, Real Diegozilla, Tutto Il Resto, Viaggi

Invecchiare benissimo.

22 novembre 2011 • By

Era da un po’ che non riguardavo “I Guerrieri della notte” e l’altra sera ho rimediato.
Rivedere quel film dopo essere stato diverse volte a New York fa tutto un altro effetto.
Anche perché una bella sequenza è ambientata nella stazione della 96esima, quella vicino all’ostello in cui sono stato due volte. Ho preso spesso la metro nella stessa stazione in cui sono passati Swan, Mercy e compari. L’hanno risistemata e ammodernata, ma è ancora riconoscibilissima.
Il parco in cui i Warriors si scontrano con i Baseball Furies deve essere il Riverside Park, ci sono passato. Per sbaglio, lo ammetto.
Coney Island non è cambiata molto. Quella luce vivida che c’era all’alba, quando i Warriors tornano finalmente a casa, c’era anche quella mattina in cui sono stato laggiù.
La metropolitana newyorkese del 1979 era molto simile alla metropolitana milanese del 2011, da noi quel film potevano girarlo ieri. Superfici coperte di tag, desolazione e schifezze per terra.
Anche nella Milano di adesso ci sono le bande, non sono autoctone ma poco importa. Le legnate che puoi prendere non hanno nazionalità.
James Remar, giovanissimo nella parte di Ajax, è protagonista assoluto della mia supercontinuity. Dopo l’arresto ha messo la testa a posto. Ha fatto fortuna nel ramo alberghiero, ha iniziato a farsi chiamare con il suo vero nome: Richard, ed è stato per un bel po’ il fidanzato di Samantha Jones di Sex and The City. Non ha mai perso l’aria e i modi da malandrino.
La prima volta che ho visto “I Guerrieri della notte” avevo tipo 13 anni. Ho finito di vederlo e volevo mettere su anche io una banda. Da solo. Cose che capitano.
Mentre riguardavo il film mi sono accorto che alcuni dialoghi li sapevo a memoria. Erano stampati nella mia corteccia celebrale, imprintig narrativo.
- Tu fai solo parte di quello che mi è capitato stanotte, ed è tutto merda!
- Riffs!
- Si, capo!
- Guerrieriiiihh giochiamo alla guerraaaaah?
La mia scena preferita, da sempre, e l’ultima visione lo ha confermato, è quella dell’incontro.
Quando in metro i Guerrieri conci, pesti, stanchi e sporchi da fare schifo, incontrano i quattro fighetti al rientro dalla serata elegante.
Lei che muove una mano per mettersi a posto i capelli e lui orgoglione che la ferma.
Con le dovute differenze, anche io mi sono sentito così un milione di volte.
Non deve essere facile interpretare la parte più importante della propria vita al primo film. Infatti, dopo aver vestito il gilet di Swan non è che Michael Beck sia brillato tantissimo come attore.
Di sicuro da giovanotto era bello assai.

E adesso?
Com’è il capoguerra Swan adesso?
Così:

Direi che è invecchiato benissimo, proprio come il film.


Cinema, Pseudo Tumblr

Le conseguenze di Star Wars.

22 ottobre 2011 • By

Post postmoderno sulle conseguenze metatestuali.
Da un bel po’ di tempo raccolgo derivazioni dall’universo di Star Wars. Mi piace vedere che cosa succede quando un impianto narrativo complesso come quello di Lucas esplode nel centro dell’immaginario globale.
Raccontare usando i metatesti, in modo postmoderno citazionista, è un linguaggio difficile da capire per chi non ha dimestichezza con gli elementi originali.
Per originali intendo: la linea narrativa da cui hanno origine, o su cui si appoggiano gli elaborati successivi.
Servirebbe una versione commentata. Dovrebbe arrivare Il Pazzaglia, con delle note a margine. Come succede nelle antologie di letteratura italiana delle superiori. Note in basso o decine di pagine di analisi, dove ti vengono spiegati per filo e per segno tutti i rimandi, le citazioni, i sottointesi legati alla cultura classica.
Guarda che, cambiando gli elementi metatestuali, questa strofa:

I balsami beati
per te Grazie apprestino,
per te i lini odorati
che a Citerea porgeano
quando profano spino
le punse il piè divino.

Equivale a questa fotografia:

Per capire e apprezzare il buon Foscolo, ti servono degli elementi in più rispetto al testo. Per capire e apprezzare la foto qui sopra te ne servono degli altri, ma il concetto non cambia.
Ecco, ho fatto incazzare tutti i prof di lettere. Pazienza.
La cultura pop, essendo in continuo movimento, non la puoi tenere ferma. Si muove. I metatesti iniziano a rimbalzare su diverse superfici estetiche e narrative.
La più facile è sempre la parodia. Se mi conosci lo sai, io detesto le parodie. E’ ben più difficile usare il mito senza fare le pernacchiette.
E’ la coerenza di senso narrativo che mi affascina, per dire, di un illustrazione come questa:

E poi si gioca, che il Pop te lo lascia fare.

Doppio salto carpiato citazionista:

A proposito di mashup e di supercontinuity…
Hai idea di come mi sono sentito quando ho scoperto che gli Stormtrooper hanno il DNA Jake La Furia?
A proposito, chiudo con la mia preferita. Un triplice salto carpiato citazionista. Una foto dal titolo: Raider on the Storm.


Serie TV

Kitchen Confidential.

22 settembre 2011 • By

Bradley Cooper è un nuovo sex symbol. Me lo dicono tutti e io ci credo.
Così come credo che lo chef sia diventato per la televisione degli anni ‘10, quello che era il serial killer per il cinema degli anni ’90.
Se favolosi nineties avere un serialkilla era più obbligatorio del ribelle nelle boy band, oggi in tivvù scorrazzano branchi di chef.
Ramsay, Bourdain, Colicchio, Oliver, Buddy, un plotone di Top Chef, Rugiati, Borghese, la zia Pina, per un giorno, fuori menù, in astronave, in tre minuti e con ammore.
Roba che poi uno si chiede: si vabbè, ma adesso chi cazzo sta cucinando al ristorante all’angolo?
Non lo so. Ma sono un ragazzo alla moda. Lunedì comincio un corso di cucina. Ma di questo ne parleremo poi.
Kitchen Confidential. Strano. Serie chiusa del 2005, ci ha messo sei anni ad arrivare qui. Forse aspettavano che i tempi fossero maturi. Con duecento programmi sulla cucina e sui cuochi in tivvù, direi proprio che lo sono.
Produce Darren Star e si vede.
La serie è tratta dal libro omonimo di Anthony Bourdain tanto quanto Sex and The City è tratto dal best seller di Candace Bushnell. Con l’unica differenza che Kitchen Confidential è un libro bellissimo.
Nel telefilm si sente il peso di Anthony. Un protagonista che si chiama nientemeno che Jack Bourdain, chef di primo piano di un ristorante newyorkese.
I suoi pensieri fuori campo sembrano arrivare un po’ dalle pagine del libro, e un po’ dalle riflessioni che fa lo stesso Bourdain nel suo programma: No Reservation.
C’è molta New York, c’è molto sesso, c’è quel tipico umorismo che aveva Sex and The City prima che implodesse in un tracollo glitterato.
(Per la cronaca, il momento esatto in cui Sex and the city arriva al punto di non ritorno è l’episodio 13 della terza stagione. Da lì in poi è tutta discesa con qualche guizzo ogni tanto.)
Kitchen Confidential una stagione sola, 13 episodi, brevi. Non credo che il gioco potesse reggere oltre.
Per ora mi piace parecchio. Forse, ai suoi tempi, nel 2005 non è stato capito.
Cooper ha un fascino diverso rispetto a quello di Bourdain, ma c’è. E’ perfetto nella parte. In cucina si muove bene ed è credibile dietro i fornelli.
Il cast di supporto è composto da veterani del piccolo schermo. Gente su cui puoi contare. Caratteristi con sotto due palle così. Supercontinuity: Uno degli chef è stato salvato dal Dottor House. Poi ha messo la testa a posto, ha rinunciato alle sue perversioni sessuali ed è andato a New York per rifarsi una vita. Ed eccolo lì in cucina.
Alla Darren Star maniera, si ride quando c’è da ridere, ci si attizza quando c’è da attizzarsi, si riflette quando c’è da riflettere. Con o senza voice off.
Divertente, e con il grande merito di prendersela con i vegani.
Comunque sia, io non faccio testo. Ho un’insana passione per le serie che chiudono subito. Credo di avere dei gusti orrendi perché quando mi piace qualcosa, scopro che al terzo episodio hanno licenziato tutti.
Mi è successo con Undercovers (bellissimo!) con la versione americana di Life on Mars (fico!) e con Outsourced (fa ridere!).
Se lo guardi e non ti piace, io ti avevo avvertito.


Serie TV

White Collar!

27 aprile 2011 • By

C’è lui che è bello in modo illegale, ed è avvezzo a pratiche illegali. Una specie di Diabolik per famiglie, senza omicidi e con più fashion.
Poi c’è quell’altro. Che fa l’agente dell’FBI, però non è un pirla. E allora lo arresta. Due volte. Poi lo convince a collaborare come consulente con il burò.
Lui che è bello in modo illegale dice: occhei. Allora gli mettono una cavigliera per tenerlo sotto controllo e quell’altro gli fa da balia.
Un telefilm interessante. In onda prima su Fox Crime e poi su Fox e basta. Lo spostamento credo sia dovuto ai toni più da commedia che da poliziesco duro e puro. Anzi, diciamo che White Collar è un dramedy, e chiudiamola qua.
Non è male. E’ una serie che si lascia guardare. Il rapporto tra Neal Caffrey e l’agente Burke è scritto bene, con battute e interazioni divertenti.
Su tutti spicca Willie Garson, nei panni di Mozzie. Interpretazione maiuscola e suprema. Garson, lo conoscono in molti per aver interpretato Stanford Blatch in Sex & The City.
(Questo suo ruolo ha messo a dura prova la mia teoria della supercontinuity. Fratelli gemelli è troppo semplice. Allora ho optato per una “somiglianza”. Mozzie quindi veste i panni di Stanford quando gli è utile per truffare l’alta società newyorkese.)
White Collar, di base, parla di truffe, raggiri, furti con piani elaborati e cose così.
Attraverso gli eventi, vengono raccontate le diverse tecniche utilizzate dai truffatori. Romanzate, ovviamente.
Come concetto narrativo lo sento molto più vicino di Lie To Me. Sarà che sono italiano, sarà che vivo nel 2011, sarà quel che sarà, ma Lie To Me come concetto narrativo non riesce ad appassionarmi.
La verità? E chi cazzo se ne frega della verità?
- Ha detto un buggia, e io l’ho sgamato, grazie alle microespressioni!
Bravo. E poi?
Sono abituato a un mondo dove non succede niente nemmeno di fronte a reati evidenti, figurati alle tue microespressioni di sta fava.
Tornando a White Collar… La serie è interessante, ed è un vero peccato che…
Purtroppo, nonostante i bei personaggi, i bei dialoghi e le situazioni interessanti, la sceneggiatura sempre più spesso imbizzarrisce come un Capivara depresso.
Alcune scene, soprattutto nei dettagli di esecuzione degli eventi, sono davvero goffe. Tempi sbagliati di ingresso e di uscita dei personaggi, psicologie che cambiano in venti secondi, logiche che vanno a quel paese, messe in scena che titillano il ridicolo involontario.
Esempio: 
Io e te dobbiamo entrare in una bisca clandestina. Fuori c’è un energumeno di guardia e per entrare serve una parola d’ordine. Ci piazziamo in piedi all’angolo della strada. Di giorno, a cinque metri dalla bisca e dall’energumeno. Ne parliamo un sacco. Poi tu vai lì davanti, urti uno che sta per entrare. Gli infili in tasca un cellulare attivo, attraverso il quale sentiremo la parola d’ordine.
Poi torni da me. A cinque metri. Guardiamo, parliamo e aspettiamo. Il tipo urtato entra, dicendo la parola d’ordine. Tu la senti con il cellulare. Allora torni di nuovo dall’energumeno. Gli dici la parolina.
Il colosso, a rigor di logica, dovrebbe dirti :
- E’ mezz’ora che cazzeggi lì con quell’altro, sei già venuto qua davanti e hai urtato il tizio che entrato otto secondi fa, ora torni e mi dici la parola d’ordine. Sai che c’è? C’è che non me la racconti giusta, ma avremo modo di discuterne dopo che ti faccio entrare e ti gonfio di botte nel seminterrato di questa bisca clandestina illegale. Tanto illegale da necessitare una guardia esterna e una parola d’ordine per entrare.
Invece no. Dice occhei, e ti apre la porta con un sorrisone.
Dentro, ribecchi quello di prima, e con lo stesso trucchetto ti riprendi il cellulare.
A parte che dovrei sentire il peso di un cellulare nella tasca della giacca, comunque sia, sono in un bisca clandestina, un tizio mi fa due volte lo stesso trucchetto e io non sospetto niente di niente?
Bòf.
Fine dell’esempio. 
Ma, purtroppissimo, in White Collar di situazioni così, o di situazioni anche più semplici ma risolte o raccontate in modo ancora più goffo ce ne sono a bizzeffe.
Ed è un vero peccato.


Serie TV

La teoria della supercontinuity

4 dicembre 2009 • By

 

Commentando un post sul blog di questo mio amichetto qui, ho capito che i tempi sono maturi per rendere noto uno dei miei esercizi mentali preferiti.
Funziona così: i personaggi delle serie televisive si sovrappongono all’attore. Per cui, quando un attore recita in due serie diverse, è il personaggio che si sposta da una serie all’altra.
Il come e il perché, ovvero tutte quelle giustificazioni necessarie a far funzionare il cambio di ruolo, devi inventartele tu. Ma devono essere sceneggiabili, altrimenti non vale.
Bisogna riempire “i buchi”, raccontare le scene e i passaggi che non sono stati raccontati, trovare il modo per far incastrare tutti i pezzi.
Un paio di esempi:

In una puntata di Sex & The City, Carrie incontra Fox Mulder… E’ in un manicomio poco fuori NYC, ed è logico che sia lì per colpa di tutto quello che ha visto in X Files. Non guarisce, allora optano per impiantargli una falsa identità e dei falsi ricordi. Compare anni dopo come Hank Moody in Californication.

Sono moltissimi i misteri che nasconde Caleb Nichol, il padre di Kristen in The O.C.
E’ spesso assente, perché ha una doppia vita a New York, dove è conosciuto come il magnate dell’editoria Bradford Meade.
L’origine del suo impero finanziario però, non è negli immobili e non è nell’editoria. Nessuno può sapere che cosa ha fatto Caleb Nichol quando era conosciuto con l’identità di Charles Widmore. L’unica cosa certa è che l’infarto che lo ha colpito in The O.C. è sicuramente legato ai misteri dell’isola di Lost.

Quando l’agenzia investigativa Simon & Simon viene chiusa, Rick Simon decide di cambiare lavoro. Si dedicherà al commercio di oggetti rari e da collezione, frequentando fiere e mostre mercato. Una di queste, che si terrà a Las Vegas nel 2008, cambierà per sempre la sua vita.
Mai sottovalutare i ragazzi di CSI.

Nell’ospedale di Scrubs, Carla incontra una sua vecchia fiamma poco tempo prima del suo matrimonio con Turk.
E’ il dottor Ramirez, che torna in vista all’ospedale dopo un periodo, a detta sua, di lavoro all’estero come medico di “frontiera”.
E’ vero in parte. Il Dottor Ramirez non può certo dire a tutti che si trovava su un isola, non si sa bene dove e non si sa bene quando, e si faceva chiamare Richard Alpert.
Qualcuno sostiene che Ramirez non sa di essere Richard e viceversa, ma bisogna scomodare le teorie quantistiche sul multiverso.

Dexter Morgan non ha molti amici. Quando va in ospedale a trovare una sua amica morente è un momento molto toccante. Anche la faccenda della torta al limone è particolarmente drammatica.
In realtà la sua amica non muore. Capisce che può ricominciare da capo e se ne va da Miami.
In un’altra città si gode i servizi forniti da Hunk, il ragazzo squillo.