Conosci Vivian Maier?
1 dicembre 2014 • By Diego CajelliPremessa: Sky Arte vale da solo ogni singolo euro dell’abbonamento a Sky.
Fine premessa.
Forse ero distratto, forse era una roba passata per giri distanti dai miei giri abituali, fatto sta che di Vivian Maier, e di tutta la leggenda che la riguarda, io non ne sapevo nulla. Niente di niente.
Ieri ho visto il documentario “Finding Vivian Maier”. Ero all’oscuro di tutto e mi è caduta la mascella.
Una storia. Una storia con S maiuscola. Tanto maiuscola che sono qui a controllare le fonti, incrociando dati, cercando di capire un paio di cose perchè, purtroppo, cazzo, il lato fiction di tutta la vicenda è così perfetto, così splendidamente sceneggiato, da farmi suonare l’allarme fake alla JT Leroy.
Per ora no. Per ora sembra tutto vero. Per ora la storia che mi è stata raccontata ieri sembra, con tutta la sua S maiuscola, una storia vera, ed è questa:
Nel 2007, un ragazzotto di Chicago: John Maloof, va ad un asta. Tipo una di quelle che vedi anche tu nelle dozzine di programmi TV in voga ora. Maloof sta scrivendo un libro sulla storia di Chicago e ha adocchiato uno scatolone contenente un bel po’ di vecchi negativi. Spera di trovarci qualcosa di utile per le sue ricerche.
Se lo aggiudica. Torna a casa. Dentro ci trova delle belle foto. Belle, ma non vanno bene per il suo libro. Scansiona alcuni negativi e li mette su Internet.
Di chi ha scattato quelle foto non si sa nulla. Di certo quelle immagini sono potenti, sono foto di strada, scattate presumibilmente negli anni ’50.
Eccone un paio, e clicca per la versione in grande che ne vale la pena.
Sì, adesso noi diremmo che c’è un po’ della Arbus e un po’ di Cartier-Bresson, con una spruzzatina di Weegee. Adesso. Non allora. Non quando queste foto sono state scattate.
Maloof si incaponisce. Capisce di avere tra le mani il lavoro di un artista vero. Rintraccia chi ha comprato gli altri oggetti di quell’asta e si ricompra tutto lui. Passano un paio di anni di ricerche incrociate.
Mette assieme i pezzi e scopre che le immagini sono state scattate da una certa Vivian Maier, morta nel 2009. Professione: baby sitter.
Si tratta di circa 150 mila negativi, 3 mila stampe, tonnellate di rullini ancora da sviluppare, film in super 8, ricevute, appunti, vestiti, robe varie. Maloof compra tutto quello che è andato all’asta, ed è presente all’apertura di un self storage dove la signora ha accumulato la sua roba.
Una bambinaia con la macchina fotografica sempre al collo. Una tipa un po’ strana, eccentrica, così la descrivono le persone che l’hanno conosciuta, rintracciate e intervistate da Maloof nel film documentario che ricostruisce e racconta tutta la vicenda.
In sostanza, quella che ora è considerata una delle più grandi fotografe americane del ‘900 è una bambinaia di origini francesi che non ha mai fatto vedere a nessuno i suoi scatti.
Mai. A nessuno.
Questa storia è raccontata troppo bene. E’ perfetta. Lineare, affascinante. Parrebbe costruita. Sembra sceneggiata da uno bravo, sembra un serial bello e pronto. Soprattuto, al di là della particolare biografia della protagonista c’è la qualità assoluta e riconoscibile della sua passione segreta. La fotografia.
Nessuno immaginava la mole di fotografie scattate da Vivian quasi di nascosto, scatti che ha accumulato assieme ad altri oggetti in scatoloni, valigie, borse e quant’altro.
Sì, una tipa un po’ bizzarra, e uscita abbastanza di testa negli ultimi anni della sua vita.
Così dicono, almeno.
Tutto questo stride in modo violentissimo con la contemporaneità.
La nostra contemporaneità fatta di condivisione immediata, fatta di autopromozione ossessiva e di: guardami quanto sono bravo legato non solo all’ipotetica opera, ma anche soltanto all’idea che ci stai lavorando a una determinata opera.
Di artisti che hanno raggiunto la fama dopo aver raggiunto l’altro mondo ce ne sono un casino. Ma qui la questione è differente, se vuoi più complessa.
Quando Vivian Maier era viva, nessuna sapeva realmente chi fosse, nessuno era a conoscenza del suo passato e nessuno aveva idea che fosse una fotografa.
Cazzo, parliamone un momento. Chiunque realizzi uno scatto come quello qui sotto oggi fremerebbe dall’impellenza di farlo vedere a tutti ancora prima di metterci un filtro di Instagram.
Vivian invece no.
Di lei Maloof dice: “She was a Socialist, a Feminist, a movie critic, and a tell-it-like-it-is type of person. She learned English by going to theaters, which she loved. … She was constantly taking pictures, which she didn’t show anyone.”
Qui c’è il sito su di lei, messo in piedi da Maloof.
Ci trovi tutta la storia e parecchie gallery portfolio. Ci sono molti autoscatti, dove la vediamo riflessa nelle vetrine e negli specchi.
Così possiamo dare un volto ad un autentico mistero del ‘900.
Una bambinaia di origine francese, un po’ stramba, che girava sempre con una macchina fotografica al collo.