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Diego Cajelli

Racconti

Ore 21, incontro con l’arte.

15 marzo 2016 • By

thay

Martedì Pigrizia! Post antico riproposto!

 

Il volantino era scritto in maniera semplice, minimale. Un carattere base di Microsoft Word, annunciava al quartiere che si sarebbe tenuto un favoloso incontro con l’arte. Una lezione introduttiva sulle varie tecniche artistiche, perché è solo una questione di sensibilità, tutti possiamo imparare, perché in fondo siamo tutti un po’ speciali, un po’ artisti, e tutti tutti con in mano un pennello possiamo dipingere splendidi paesaggi ad acquerello, decorare ceramiche e imparare i segreti della plastilina.
Alle ore 21, giovedì, presso l’Art Studio Birimbelli, un seminterrato con vetrina sulla strada. Una volta era un falegname, ora mostrava ai passanti i favolosi lavori di Giangiacomo Birimbelli, decoratore, illustratore, scultore, speleologo, specializzato in decorazioni ad aerografo sulle chitarre. Pezzi forti: tigre del Bengala su Fender Telecaster (a guardarla bene era un po’ strabica, ma i chitarristi hard rock non fanno caso a certe cose), il paesaggio fantasy a tempera sul serbatoio della moto, la Venere di Milo in vetroresina e pannelli ad olio raffiguranti finte librerie, dove Giangiacomo si era divertito a disegnare uno per uno i titoli dei suoi libri preferiti.
Poi, un giorno, nell’artistica mente creativa di Giangiacomo si fece strada l’idea di trasmettere l’arte ai suoi concittadini.
Ci rimuginò su un po’, si chiese, come faceva sempre in quei frangenti, che cosa avrebbe fatto al suo posto Basquiat e alla fine decise che la trasmissione della cultura artistica alle masse era proprio una buona idea. Se non altro per pagare le bollette del gas, e allora via di volantino e di fotocopie.
Anche a Mario sembrava proprio una buona idea, un buon modo per passare il giovedì sera, dato che, a causa di una particolare congiuntura della sua vita sentimentale, si trovava ad avere un sacco di tempo libero.
Mario usci dunque di casa e puntuale, alle ventuno spaccate, entrò nell’atelier di Birimbelli per partecipare al tanto pubblicizzato incontro con l’arte.
Subito dopo l’ingresso, dove erano esposte maschere terracotta, sculture in ferro e masterpiece birimbelliani, una scala portava ad un’ampia stanza, sotto il livello stradale.
La saletta taverna  invasa da arte, colori, tavoli, tele e pennelli, seduti in cerchio su seggiole pieghevoli Ikea, oltre a Mario e a Giangiacomo si trovavano altre due persone.
Polly, una ragazza impaziente di apprendere tutto il possibile sull’acrilico e la maiolica, e un signore di mezza età: Erminio, che aspettava il momento buono per chiedere se era prevista almeno una lezione con la modella nuda.
Giangiacomo lasciò che i presenti osservassero per bene il suo studio. Aspettò che i loro sguardi si posassero su ognuno dei suoi lavori, quelli finiti, quelli da finire, quelli ancora da iniziare, dai trompe d’oeil di cui andava molto fiero ai pupazzi in gommapiuma ricavati dall’imbottitura di un vecchio divano, suo fiore all’occhiello dell’arte del riciclo, poi si alzò in piedi.
Stava decidendo se era meglio partire dalla cartapesta o dal decoupage, quando un odore lo colse di sorpresa, distraendolo dai suoi pensieri.
Era un odore che non sentiva da tantissimo tempo. Odore di prosciutto crudo. Non poteva certo venire dal suo frigo, dato che da anni Giangiacomo era vegetariano.
La fragranza di prosciutto crudo si diffuse per tutto il seminterrato, incuriosendo i presenti.
- “Sono forse previsti dei panini per merenda?” Chiese Erminio, ormai certo del fatto che se c’erano i panini c’erano sicuramente anche le donne nude.
- “No”, Rispose Giangiacomo. “In effetti, non riesco proprio a capire da dove provenga questa puzza!”
- “E’ colpa mia.” Disse una voce dal buio.
La voce era calda, maschile, priva di inflessioni dialettali.
Giangiacomo stava per chiedere spiegazioni, non avrebbe tollerato che un suo studente portasse carne morta di porco all’interno del suo tempio artistico, era pronto a dirne quattro al nuovo arrivato, ma non lo fece.
Quando lui e gli altri, videro l’uomo scendere le scale che portavano alla saletta in cui si trovavano, rimasero rapiti dalla sua bellezza e lo fissarono sorridendo senza porsi domande.
- “E’ il mio odore” Disse l’uomo.
Era alto, biondo, indossava dei pantaloni neri e una camicia bianca, intanto che scendeva le scale si arrotolava le maniche della camicia sulle braccia, che apparivano toniche e muscolose. Sorrideva, con un’aria di sfida negli occhi, era talmente bello da rendere affascinante anche quell’espressione da duro.
- “Permettete che mi presenti, io sono l’Arte e sono qui per l’incontro.”
Arte si fermò nel mezzo della stanza, a gambe larghe. Assomigliava un po’ a Nick Nolte. Aveva la stazza di quando Nolte era in forma, ma sicuramente era molto più bello.
- “Avanti, chi di voi vuole essere il primo?”
- “Il primo per cosa?”  Chiese Giangiacomo.
- “Il primo che vuole fare l’incontro. Il volantino parla chiaro: ore 21, incontro con me, sono arrivato un po’ in ritardo e me ne scuso, ma sono pronto.”
Piegò il collo, prima da un lato, poi dall’altro, come fanno i pugili, scrocchiando l’articolazione.
- “Io non…”
Giangiancomo, confuso, si avvicinò.
Arte lo colpì con un gancio destro.
La mascella di Giangiacomo Birimbelli si frantumò all’istante, con un rumore di grissini rotti. Arte entrò in progressione, chiuse la guardia e dopo il gancio assestò un preciso diretto sinistro al naso, mosse un passo in avanti con la gamba sinistra e schiantò contro i reni di Giangiacomo un Low Kick destro.
Giangiacomo si piegò di lato, indeciso su quale parte del suo corpo gli facesse più male. Crollò a terra, vicino al compressore dell’aerografo, rantolando sulle piastrelle.
L’incontro con l’arte era cominciato, oramai era chiaro, era un incontro di Thay Boxe.
A Mario questa cosa non piaceva per niente.
- “Forse c’è un equivoco… ” disse Mario alzandosi.
Polly ed Erminio erano incapaci di muovere un muscolo, rimasero atterriti sulle loro seggioline pieghevoli. A lui non interessavano più le donne nude e lei aveva perso ogni attenzione per le maioliche.
Mario si rivolse ad Arte, immobile come una montagna a pochi passi da lui.
- “Noi siamo qui per faccende artistiche… per un incontro con l’Arte non per…”
- “Io sono L’Arte.”
Sorrise, avvicinandosi a Mario lentamente.
- “Non pensare al pennarello magico del Gioca e Colora, pensa agli occhi segnati di Kafka, alle mani rovinate di Michelangelo, alla voce nasale di Warhol…”
- “Mi ha appena mollato la ragazza….” Disse Mario, chiudendo gli occhi e preparandosi al peggio.
- “Non basta, amico, se sei qui per incontrarmi, dovresti sapere che il vero incontro con me è violento e doloroso”
Arte colpì Mario con un calcio frontale allo stomaco, lo piegò in due e gli assestò una ginocchiata in piena faccia. Mario si schiantò a terra. E lì rimase.
Arte quella sera era proprio in forma.
Spaccò la schiena a tutti.


Real Diegozilla, Scrittura

Avvistamento a distanza del secondo tipo su scala Hynek.

8 marzo 2016 • By
alieno

 

Martedì Pigrizia! Vecchio post riproposto!

Pezzo pubblicato su una rivista della Double Shot.

Ufo. Alieni. Già. Che cosa posso dire io degli Ufo?Un sacco di cose.
Primo: Io li ho visti. Eggià. Essì.
Era l’agosto del 1978. Ero in Liguria. In colonia. Dalle suore. Che poi uno dice: ma perché ti hanno mandato in vacanza dalle suore in una colonia vicino a Sestri Levante? Proprio non lo so. Fatto sta che quell’anno, invece di andare in vacanza con la nonna, mi spediscono dalle suore.
Ho compiuto da poco sette anni, e dalle suore mi rompo le palle. Ma tanto. Ma proprio tanto. Fatto sta che devo stare lì. Quindicigiorni. Scanditi con sveglia presto, colazione, messa, giretto, spiaggia, pranzo, riposino che non faccio, messa, cena e tutti a letto presto presto.
Un mattino. Verso le otto. Siamo tutti in fila per entrare nel refettorio per la prima colazione. Il cielo è grigio. Una distesa pesante di nubi biancogrigie senza sole, con una plumbea minaccia di pioggia. Sto con il naso all’insù. Se non si va in spiaggia, passare la giornata nel cortile della colonia sarà un inferno di tedio senza fine. Mentre aspetto il turno della mia camerata per entrare in refettorio, penso che potrei elaborare un piano di fuga.
E poi.
Li.
Vedo.
Tre ovali, simili a palloni da rugby. Sono molto lontani nel cielo. Riesco a distinguerne la forma e i contorni. Sono ovali di luce, che si muovono in modo bizzarro.
Procedono a scatti. Poi si fermano. Poi si muovono, cambiano direzione. Si fermano. Poi un altro scatto.
- UFO!
Urlo con tutto il fiato che ho in gola, allungando la manina verso il cielo.
Li vedono anche gli altri bambini. C’è eccitazione, tutti guardano verso l’alto. Il latte e l’Ovomaltina con i biscotti secchi può attendere. Ora ci sono gli Ufo nel cielo della Liguria.
Già a quei tempi, sapevo sull’argomento tutto quello che poteva sapere un bambino di sette anni molto curioso.
Poi, in fretta e furia, le suore ci portano dentro al refettorio. Dicono di non vedere gli ufo. Dicono che non c’è niente. Sono dure e perentorie. Molti bimbi cambiano immediatamente la loro versione. Prima li vedevano, adesso non più.
Solo io rimango convintissimo. Dicono che sto scherzando. Nessuno ha visto niente. Nessuno ha visto niente. Anche se prima, in fila, tutti dicevano di averli visti.
Mi prendono in giro. Mi prendono in giro anche quelli che prima dicevano di vederli anche loro.
La sera chiamo i miei. Lo dico a mio padre.
Lui.
Mi.
Crede.
Ho visto gli Ufo, e mio padre è dalla mia parte.
E quel giorno, un giorno di agosto del 1978, con la cornetta del telefono in una mano e i gettoni nell’altra, mi rendo conto di quanto sono fortunato.