Tutto quello che volevo dirti su Mexican Standoff, ma non ci vedevo una mazza e scrivere era un casino.

Qui sopra, uno dei tanti tormenti che un umile sceneggiatore deve subire quando condivide lo studio con dei simpaticissimi disegnatori, tra cui il Kota, autore di questa cover alternativa.
Alcune cose a proposito di Mexican Standoff te le ho già dette, ci sono un paio di post, li trovi cliccando qui.
Non è una storia classica. Non è una storia semplice. Non è una storia scritta per piacere a tutti tutti.
In effetti, non essendo classica, non è piaciuta ai lettori amanti del classico, mentre lettori più avvezzi ad altri tipologie di fumetto l’hanno apprezzata di più.
Il mio intento primario era quello di non scrivere una storia che scivolasse via, non mi andava di fare il compitino, volevo sperimentare e tentare qualcosa di diverso. La spaccatura nel pubblico me la sono andata a cercare. Mexican Standoff o ti piace, oppure ti fa schifissimo. Niente placide e rassicuranti vie di mezzo.
Il tutto perché, sempre dal mio punto di vista, un lettore amante del classico, oggi, ha soltanto l’imbarazzo della scelta per soddisfare il suo bisogno di classicità e di linguaggi rodati e confortevoli. Dalle varie ristampe dei grandi, eterni, vecchi fumetti dei bei tempi che furono, fino a produzioni contemporanee che ripropongono, con modifiche minime, quella tipologia di linguaggio narrativo.
Non ultimo, per esempio, il Grande Blek riproposto dal Sole 24 ore.
Non sono un grande amante dell’effetto nostalgia. Di solito non compro un fumetto per tentare di risentirmi emotivamente come mi sentivo da ragazzino e leggevo per la prima volta quel fumetto lì.
Perché il punto è quello. La rievocazione di un ricordo, di un sentimento perduto, il rivedersi come si era quando, quella ristampa, era un inedito. È un processo editoriale legittimo, giusto, ma non può essere l’unico.
Con Mexican Standoff ho voluto lavorare su parecchi punti e consuetudini narrative. I più evidenti sono la commistione tra generi, l’assenza di “momento spiegotto” e la collocazione dei colpi di scena in momenti diversi dallo standard abituale.
Colpi di scena. È prassi, nel fumetto e nelle narrazioni formulaiche, usarne tre. Uno alla fine di ogni atto. Nei fumetti posso dirti con certezza che, se vengono scritti seguendo “la norma”, ci sarà un colpo di scena attorno a pagina 30, un altro più o meno a pagina 60, e l’ultimo sul finale. Nel caso di narrazioni fumettose più cool, puoi trovarne un quarto, nelle ultimissime pagine, che contraddice il terzo colpo di scena creando tecnicamente quello che si chiama twist.
In Mexican Standoff li ho spostati, e li ho messi tutti e tre uno in fila all’altro nella sequenza finale. Questo ha spiazzato e incasinato di brutto i lettori. Semplicemente, ho spostato i colpi di scena dove di solito non ci sono.
Assenza “Spiegotto”. Spiegarti tutto quanto in modo pedissequo, per tre volte, in tre modi diversi, non è obbligatorio. Così come non è obbligatorio essere didattici.
Come dicevo nell’altro post, il punto di partenza è: quello che dovevi sapere te lo ha già spiegato qualcun altro in altre narrazioni. Ed è una scelta. Una mia scelta precisa. L’ho evidenziata nei momenti un cui, classicamente, doveva esserci il momento spiegotto, ma non c’è stato. Quando? Tutte le volte che Reyes inizia a raccontare qualcosa e Cipriano dice: no, fa niente, non mi interessa, andiamo avanti.
Qualcuno ha detto che la storia non si capisce. Posizione legittima, ma va contestualizzata, perché non è vero che non si capisce in termini assoluti, daro che per qualcun altro la storia è stata chiara e comprensibile.
La frase quindi, va riformulata in: io non l’ho capita.
L’unica risposta possibile è pazienza, non si può capire tutto, lo capirai un domani, oppure no.
Commistione tra generi. Chi ha apprezzato il volume ha evidenziato subito il problema che mi ero posto in fase di scrittura. Senza alieni, sarebbe stata la solita, già vista, magari buona, tarantinata.
È proprio l’alternanza di generi che rende la storia quello che è, non un qualcosa di già visto, già sentito, rassicurante e noto.
Si muove per archetipi puri, ma sulla la loro commistione che mi interessava lavorare.
E comunque sì, sono arrivato un po’ lungo. Dieci pagine in più mi avrebbero fatto comodo.
Sul forum di Comicus, segnalo una discussione molto interessante, dove uno dei partecipanti mi ha letteralmente messo a nudo, cogliendo tutti gli aspetti narrativi di cui sopra. Clicca qui.
Così come segnalo anche una discussione sul forum di Zagor, dove sono intervenuto per spiegare la mia posizione. Clicca qui.
Chiudo linkando un paio di recensioni:
Manga Forever
La Barba Quotidiana
I droidi che stiamo cercando.
Lasciate spazio ai sognatori.

E Matteo Cremona?
Matteo merita un applauso. Mi alzo in piedi e faccio clap clap clap clap, per quello che secondo me è uno degli esordi bonelliani migliori di sempre.