A Jane Campion non interessa. Non le frega. Per lei non è importante.
Chissene.
A Jane Campion non importano un sacco di cose, cose che magari tu vorresti trovare in una serie tivvù, ma è lei che ha diretto Top Of The Lake, mica te.
Tra le altre, non le interessano delle cose a dire il vero banali, come fare gli stacchi giusti, o seguire una blanda continuity visiva dove, per esempio, se uno precipita da un dirupo e striscia sulle rocce per venti metri, poi avrà il giubbotto e i vestiti un po’ strappati. Cosine così…
E poi, comunque, si può sempre dire che tutto quello che non c’è, tutto quello che manca, è giusto che manchi ed è giusto che non ci sia perché è un’opera pa-pa-particolare e impegnata. Non è una serie diretta dal primo regista maschio prezzolato schiavizzato dal consueto che passava da lì.
Il paradosso dei nostri tempi è che una “visione diversa” deve avere comunque un valore positivo anche se è oggettivamente pretestuosa e farcita di errori glassati di brutture.
Non è una questione di lentezza o di noia. Mi piacciono la noia e la lentezza. Non è una questione di astio verso la “visione femminile”. Ho un elenco lungo un metro di autrici che mi piacciono un casino. Spero di essere libero di dire che la serietivvù della Campion l’ho trovata orrenda senza essere etichettato come un maschilista. Anzi. L’affacciarsi di un pensiero simile è indicativo di quanto sia minuscolo il suo lavoro su questa serie.
Top Of The Lake è il prezzo che devi pagare per tutte le volte che ti sei divertito guardando qualcosa in tivvù.
E’ ambientata a Laketop, un ridente posticino dove tutti i maschi sono degli stronzi. Tutti tranne uno: un nativo neozelandese coi tatuaggi in faccia. Devo allontanare in modo brusco il pensiero che sia l’unico personaggio maschile positivo perché si allude al mito del buon selvaggio, ovvero il concetto più razzista del mondo.
Spero sia un caso e non una scelta ponderata. Spero non ci sia del dolo. Mi illudo. Tutto quello che c’è in Top Of The Lake è di origine dolosa, fatto-apposta, studiato nel minimo dettaglio per essere forzatamente diverso e fastidioso in modo compiaciuto.
Nella forzatura estrema della narrazione usata a scopo di pretesto, il tema morale della Campion è uno splendido esempio di razzismo di genere.
Passa, in modo frontale e non fraintendibile, che tutti gli esseri umani di sesso maschile sono delle creature orrende. Che è un po’ come dire che tutti i neri hanno il ritmo nel sangue e giocano bene a basket.
Al tempo stesso, ed è questa la cosa strana, le donne della Campion hanno tutte bisogno di aiuto, di una guida che riesca a mettere ordine nella loro estrema confusione.
Non esistono “donne forti”, realmente indipendenti, autonome nelle loro scelte. Anche se sono un maschio, e teoricamente per la Campion sono una merda senza diritto di parola, questa definizione della donna mi offende. E parecchio anche.
Top Of The Lake è la punizione per tutte le volte che hai visto CSI o Beautiful. E vieni punito nel modo più duro possibile. Non a caso, la protagonista è interpretata dalla figlia di Ron Moss, tutto torna, in una perversa forma di contrappasso narrativo. (No. Non è vero. Mi hanno informato male, non ho controllato, ho fatto una cazzata. Quindi puoi bacchettarmi sulle dita che ne hai diritto. Grazie a Rico che mi ha fatto notare l’errore.)
Tutti i personaggi in scena hanno delle personalità borderline, chi più chi meno. Tutti vivono nel disagio, in un luogo dove non esistono i colori caldi, dove la natura è la muta testimone del triboli e del degrado umano. A Laketop tutti sono dei criminali, ma se sei brutto o sporco hai il permesso di farti inquadrare nudo.
Poi c’è Holly Hunter, santona psicotica che trascina nel niente delle disadattate che dicono pene al posto di dire cazzo e formano un gineceo nei container, dando parecchio fastidio al maschio più bastardo di tutti.
Il personaggio della Hunter: GJ è favoloso. Una santona foriera di frasi fatte e massime filosofiche da Baci Perugina shabby chic. Guida spirituale suo malgrado, tipo La Sfinge di Mystery Men o Forrest Gump quando correva. Infatti, quando la santona è stanchina, le molla tutte, prende il suo trolley e se ne va.
Quasi tutti, a vanvera, hanno accostato Top Of The Lake a Twin Peaks, dimostrando di non aver capito un cazzo di Twin Peaks e di Lynch in generale.
L’unico punto di contatto è una scena in un bar, dove ti aspetti che da un momento all’altro entri la Signora col Ceppo, ma non entra perché altrimenti dovevano pagare i diritti.
Dato che è più importante inquadrare dei collant strappati sui piedi, o dei tipi di spalle nella foresta, alla Campion non interessa nemmeno svolgere la trama in modo compiuto.
Quindi a un certo punto la miniserie finisce.
Tutto quello che non c’è, tutto quello che manca, è giusto che manchi ed è giusto che non ci sia perché è un’opera di Jane Campion.
E si sa, è più diversamente figo mollarti lì a guardare il lago e la nebbia, piuttosto che fornirti i più banali ed essenziali elementi narrativi.