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Recensioni Varie

Tutto Il Resto

Wired di settembre.

12 settembre 2011 • By

A Natale mi hanno regalato un abbonamento a Wired per un anno. Un regalo molto gradito, dato che è comodo, in alcuni frangenti, avere una rivista agile da gestire.
Leggevo Wired in inglese, anni e anni fa, pagandolo cifre imbarazzanti quando nel cambio Lira/Dollaro era compresa la tassa: te lo porto qui in barca a remi e te lo faccio pagare quanto pare ammè, sennò ecco una pagaia e vacci tu in de iuessei a prenderlo.
Wired in italiano è stato, fin dal primo numero, il cugino vorrei ma non posso della versione americana.
Un cugino che abita in un remoto paesino di provincia, sul cucuzzolo di Minas Tirith e che vede come innovativo e fantascientifico tutto ciò che è normale per il suo parente di città.
Un cugino che descriveva benissimo il digital divide, perchè ci vive dentro. Un cugino che con gli occhioni stupefatti ti raccontava tutte le figate tennologgiche che ci sono fuori, di là, ovunque, ma non qui.
In sostanza, Wired in italiano era un splendida rivista di turismo.
Abbastanza sopportabile, facendo le debite proporzioni. Certo, che a parlare di storie e idee che cambiano il mondo fossero degli articoli scritti spesso e volentieri da dei brontosauri, un po’ faceva girare le palle. Ma che ci vuoi fare. Siamo in Ittalia, io qua dall’alto dei miei quarant’anni sono considerato ancora un giovane. Un bel giovane, aggiungerei.
Nonostante i suoi limiti, era una rivista divertente. Qualcosa di utile si riusciva a trovarlo, facendo lo slalom l’iperfighetteria tecnologica e le impronte dei brontosauri.
Poi, all’improvviso a giugno Wired cambia direttore. Riccardo Luna abbandona la guida della testata, ufficialmente perché ha lasciato il ghiaccio nel forno e deve occuparsi dei gerani. Al suo posto subentra Carlo Antonelli, acchiappato dal Rolling Stone.
Ecco. Io non leggo riviste di musica. A parte Metal Hammer quando ero teenager, credo di non averne mai lette. All’alba dei miei quarant’anni ho capito il perché.
La direzione di Wired passa nelle mani di Antonelli, e inizia subito bene. Con il numero di agosto, dove decide di sottotitolare il titolo. Giuro. Non sto scherzando.
Sulla testata si legge: Wired, e subito sotto, tra parentesi: ‘uaird. Agg. inform. in linea, connesso.
E se veniva chiamato a dirigere Stop? Sottotitolava: Segnale stradale che intima di fermarsi all’incrocio?
Il numero di agosto è stato soltanto un numero di transizione. Metti la Panda in cima ad una salita e levi il freno a mano. Poi aspetti.
Aspetti settembre.
Ogni timidissimo guizzo grafico presente nei numeri precedenti, è stato placato con massicce dosi di valium. Ora Wired ha una grafica interna a metà tra la Settimana Sudoku e Caccia e Pesca. Senza però quello stesso gusto vintage.
Poi, siccome che, lo sanno tutti, a settembre ricominciano le squole, ecco uno specialone sull’istruzione. Ben strillato in copertina, perché si sa, parlare di educazione risulta molto attrattivo per uno studente che deve spendere quattro euri.
Il resto del numero è un esempio spettacolare in cinemascope di come fanno presto quelli del marketing a dire che bisogna allargare il target. Di fianco a Grattachecca e Fichetto arriva Pucci, la personalità è in funzione da quanto sono neri gli occhiali da sole e interattivo significa metterci dei giochi enigmistici.
Il gioco più divertente è un grande classico, che se funziona su Confidenze e Rakam, perché non usarlo anche su Wired? L’articolo che inizi a leggerlo, ma la parte finale è più avanti, a fine numero, incolonnata per bene con un bel: continua da pagina 28.
Spero che la versione per iPad abbia un link diretto, altrimenti devi dare manate allo schermo per un quarto d’ora.


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Scrittura, Tutto Il Resto

Di Frank Frazetta e di fantasy.

11 maggio 2010 • By

Il fantasy contemporaneo, come sistema ottusamente hard core, a me fa venire le bolle sulla schiena.
Ma non e’ stato sempre così. Tanto tempo fa, in un regno lontano lontano, il fantasy era ancora un genere narrativo e non un componente modulare. Non era ancora diventato la bestiola auto-alimentante che ha ridotto ai minimi termini i propri archetipi per poi nutrirsene. Digerendoli anche male.
La struttura estetica e le componenti letterarie non erano ancora pedissequamente derivative, strette e costrette, per limitazione, in un format rigidissimo.
E forse, sempre in quel regno lontano lontano, il fantasy era ancora “qualcosa da leggere” e non una calda tana accogliente/multiplayer dove nascondermi dal mondo crudele e cattivo che azzanna le mie chiappe da loooser.
Ed è in quel regno lontano che si muoveva Frank Frazetta. Quando ancora la componente sessuale del segno e dell’evocazione visiva era espressa nella sua piena potenza, e non sottointesa in modo goffo, arrossendo nel delirio ormonico pre adolescenziale.
Frazetta. Ab-usato mille volte come aggettivo estetico da ah-ah-ah-artisti che spesso non conoscono nemmeno l’origine filologica del linguaggio che stanno utilizzando.
Quanti disegni storti, ricalchi, brutterie, giustificate da un risibile “after” messo in calce. O peggio, quanto materiale visivo e narrativo adoperato in modo inconsapevole.
Con la morte di Frank Frazetta, il fantasy perde uno dei padri fondatori del suo immaginario.
La cosa più buffa è che il genere, per come si è trasformato oggi, non se ne sentirà nemmeno la mancanza.
Intento com’è a guardarsi l’ombelico, che sarà anche quello di un Troll, ma comunque di ombelico si tratta.


Real Diegozilla, Tutto Il Resto

Con una Canon in manon.

26 aprile 2010 • By

 

Alla fine, ho preso la Canon G11.
Devo ancora familiarizzare con il mio nuovo giocattolo, ma le prime sensazioni sono molto buone.
E’ tutto lì. A portata di dito. Ghiere, manopole, manovelle.
Il software non è troppo invadente, e lo si zittisce con facilità.
Ho fatto dei test usando la priorità di tempi, per valutare il problema sollevato dal grande Ottokin alcuni post fa. Ovvero, fotografare i pargoli che si muovono. Fatto sta che in priorità di tempi, devi usare il mirino e non lo schermino, e la G11 passa in messa a fuoco continua. Il che, a mio avviso, ti consente di fotografare non soltanto dei pargoli che si muovono, ma anche dei pargoli ninja che saltano in carpiato dalla credenza al frigorifero.
Lo schermo super orientabile è un toccasana per le inquadrature. Il cambio di punto di vista e di prospettiva è decisamente facilitato.
L’obiettivo è molto luminoso, l’ottica mi soddisfa.
Insomma, mi sembra una buona alternativa da viaggio alla reflex. Tra un po’ le tirerò il collo con un uso massiccio e farò una recensione più approfondita. (Non ti dico ancora dove, come e quando, perché Scaramanzia mi dice di non farlo)
Passiamo alle note negative.
La cinghia è corta e scomodissima. Intralcia l’uso della macchina. Sopratutto sul lato sinistro. Forse era il caso di pensare ad una tracolla concepita in modo diverso. Mi sa che la levo o la modifico a seconda delle mie esigenze.
Non esiste che il manuale sia soltanto in PDF. No davvero. Non esiste proprio. Io sono uno di quelli che fino a quando non conosce alla perfezione la macchina che ha in mano, si porta dietro il manuale. Per dire, il manuale della mia onesta D80 me lo sono portato in tasca per i primi due anni.
Per cui, non avere una versione su carta mi sembra una cazzata. Con quello che ti pago la macchina potresti anche darmelo.
Ora, siccome sono pregno di Mac Spocchia, ho risolto il problema trasferendo il manuale sul mio IPhone.
Farò finta di non sentirmi un imbecille il giorno in cui per capire che cos’ha la macchina fotografica, dovrò tirare fuori il telefono.


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Tutto Il Resto

Recensionismo!

5 gennaio 2010 • By

Fumetti:
La Rivincita del Muggine di Caucciù
di Gallo
Double Shot
Seconda e ultima parte dell’avventura iniziata con Muflone Insano contro Pecora Mutante.
C’è parecchio Douglas Adams e parecchio Mark Leyner, ma lo dico nel senso buono. L’immaginario sardo-oriented di Gallo è fortemente personale, derivativo soltanto dal mirto Zedda Piras.
Avercene di fumetti così.

Stalag XB
di Marco Ficarra
Becco Giallo
E’ che ci dovrebbe essere tipo una sirena antinebbia.
Un coso che suona, HOOOOONK HOOOOOONK mettendoti in allarme quando come autore non sei ancora pronto per affrontare certi temi.
Per il resto, ho pagato il riscatto e Becco Giallo non mi tiene più in ostaggio dei suoi contenuti.

Periodici:
Il Monitore del regno della giustizia.
Opuscolo comparso misteriosamente nella mia buca delle lettere.
Ho scoperto che il cospirazionismo cristiano surclassa quello dei miei amichetti che combattono contro i rettiliani.
Lettura notevole, soprattutto per l’uso favoloso degli aggettivi.
Ora non mi resta che scoprire chi lo ha messo nella mia casella e se ne arriveranno altri numeri.

L’Oroscopo di Astra 2010
Mi accontenterei della metà di quanto è previsto per il mio segno.
Le pubblicità dei maghi, di cui è composta l’80% della pubblicazione, valgono da sole l’acquisto.
(Una volta, tra le “Veggenti in ascolto” c’era anche una mia ex. Giuro.)

Libri:
Il Morandini 2010.
I tempi cambiano. Così, il mio amico Giuliano mi ha regalato il Morandini per l’IPhone.
Appartengo alla tribù del Mereghetti, ma è stato un regalo mooooolto apprezzato.
Ora vado a spasso portandomi dietro un dizionario, e nessuna può dirmi: sei solo contento di vedermi o hai un dizionario in tasca?
Funzionale. La consultazione diventa rapida e indolore.
Mi piace questa editoria digitale.

Serie Tv:
Greek.
Se, e bada bene se, da un certo punto di vista le avventure delle confraternite dei maschietti risultano abbastanza simpatiche, le cose cambiano quando entrano in campo le ragazze.
Spero sempre che prima o poi arrivi il protagonista di uno Slasher Movie, irrompa nella sede delle Zeta Beta Zeta e ne faccia uno scempio con armi casuali.

Film:
Christmas Carrol 3D.
di Robert Zemeckis
con Jim Carrey, Gary Oldman, Colin Firth, Robin Wright Penn e tanta tanta RAM.
Primo film che vedo in 3D. Tutto molto bello, sì, però…
Però dopo il sessantesimo ribaltamento dell’asse di inquadratura, l’ottantesima quinta di nuca, le centomillesima mano che esce, il quattrocentottantesimo elemento verticale che passa da frontale a dall’alto a piombo, mi è sembrato un po’ ripetitivo.
Li fanno in porno in 3D?

Come eravamo.
di Sidney Pollack
con Robert Redford e Barbra Streisand e un James Woods praticamente bambino.
Come sempre, anche se ci sono abituato, tutte le volte che vedo un film degli anni ’70 mi meraviglio di tutto quello che è andato perduto da un punto di vista narrativo.
La possibilità di un finale che non sia zuccherino, di un protagonista che non sia il ritratto del politicamente corretto, l’eventualità di non dare continuamente di gomito allo spettatore, e così via…
I punti di contatto, visivi, estetici e di ritmo con Sex & The City sono parecchi. Forte.

Cibo:
Panettone Le Grazie.
Esselunga.
Costa poco ed è eccezionale.
Vivamente consigliato se ti piace il panettone classico con i canditi che sanno un po’ di plastica.
(Ma i canditi sanno sempe un po’ di plastica, è parte del loro fascino)


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Tutto Il Resto

Milano, We Will Rock You!

9 dicembre 2009 • By

Il National Geographic mi ha chiesto di esplorare la selvaggia periferia milanotta per stabilire una volta per tutte l’ubicazione esatta del Teatro Allianz, e io ho accettato perché amo le sfide.
Avevo delle informazioni frammentarie. Il luogo preciso in cui sorge il teatro non è segnato sulle mappe, e il modo giusto per arrivarci è conosciuto solo dagli sciamani di una tribù di tagliatori di teste della periferia di Rozzano. Grazie a un rito iniziatico, dove ho masticato una radice allucinogena che cresce in tangenziale, ho appreso che l’indirizzo del Teatro Allianz è lo stesso del Forum di Assago. Un luogo mistico e mutaforma, conosciuto a seconda dei dialetti indigeni come: Mediolanum Forum, Datch Forum, Stocazzo Forum e via discorrendo. Nella mia ignoranza della lingua locale, e nella completa assenza di informazioni ulteriori, ho tradotto una pittura rupestre di un sito specializzato come: Sono nello stesso posto.
Io e la mia fidata assistente organizziamo la spedizione e partiamo alla volta del Teatro Allianz per assistere al rito del We Will Rock You.
Ben presto, le cose prendono una piega piuttosto strana. Ci ritroviamo in mezzo a una migrazione di massa di Gnu, che in colonna, procedono lenti verso un parcheggio. Oltre l’orizzonte vediamo altri tre parcheggi strapieni. Strano. Non pensavo che il rito del We Will Rock You attrasse un numero così elevato di mammiferi.
- Guarda!
Mi dice la mia assistente, indicando un mercante nomade del deserto che ha fatto sdraiare i cammelli e ha esposto la sua merce sul sentiero.
- Cosa?… Che cosa c’è?
Rispondo io, intento a guidare il fuoristrada sponsorizzato dal National Geographic su una pista piuttosto difficoltosa.
- Forse abbiamo sbagliato a guadare il Serengeti, quel mercante vende icone, feticci e oggetti sacri di Eros Ramazzotti, non di We Will Rock You!
Tratto male la mia assistente, dicendole che lei sa ben poco delle religioni sincretiche, quelle che sovrappongono le figure degli dei tribali a quelle della religione ufficiali. Non ho tempo per spiegarle i dettagli. Athaualpa, l’ultimo degli Incas, mente tosa un lama, mi dice che devo parcheggiare la mia Jeep.
Siamo in mezzo alla palude di Darkwood. Lascio il veicolo tra l’albero del pane e un nido di fenicotteri.
Guardo la mappa, consulto la bussola. Siamo a sei miglia di cammino dal Fho Rum Dia Sago.
Dobbiamo uscire dalla palude, evitando le sabbie mobili e i coccodrilli. Attraversare nuovamente il Serengeti, camminando su un ponte tibetano, e poi, dall’altra parte, ci ritroveremo di fronte alla nostra meta.
Iniziamo la marcia. Ci accompagnano dei guerrieri tribali coloratissimi. La mia assistente, con un sorriso sprezzante mi fa notare che hanno tutti sulla testa un fascetta con scritto Eros.
Io sto zitto. Sprofondo nel fango fino alle ginocchia. Intanto, i guerrieri intonano un canto sacro per sentire meno il peso della marcia forzata:
- Ma quanto fiato quanta salita! Uka Chaka! Andare avanti senza voltarsi mai! Uka Chaka! E ci sei adesso tu a dare un senso ai giorni miei! Uka Uka Chaka Chaka!
In effetti, comincio a preoccuparmi.
La mia preoccupazione si placa quando, di fronte al Fho Rum Dia Sago, un missionario che parla la nostra lingua, vedendo i nostri biglietti ci dice:
- Il Teatro Allianz è dall’altra parte del Forum… Fate tutto il giro e ci siete. Qui c’è Ramazzotti.
Circumnavighiamo le aree transennate, soli, nella nebbia padagna che ti azzagna i polpacci. Il Teatro Allianz, come le mura della città perduta di Lemuria, si intravede all’orizzonte.
Eccolo lì.
Un cubo prefabbricato. Un cubetto nel nulla tra le tangenziali, una struttura pronta per ospitare un convegno di Optometristi o la fiera dal Cucciolo Inquadrato Dall’Alto Con Il Grandangolo.
Il Teatro Allianz. Un posto che devi sapere di tuo come arrivarci, come parcheggiarci davanti, e come raggiungerlo.
Quando abbiamo visto We Will Rock You a Londra, dopo lo spettacolo abbiamo scelto il ristorante indiano più economico per mangiare qualcosa.
Quando finirà We Will Rock You a “Milano”, il massimo a cui potrò aspirare sarà una Rustichella in Autogrill.
Entriamo appena in tempo, e il rito comincia.
Io applaudo.
Applaudo al coraggio, alla bravura, alla professionalità, alla grinta, alla convinzione e al grandissimo cuore di tutti quelli che ci recitano, ci cantano, ci ballano, ci suonano. Applaudo ai tecnici, dal capo elettricista al vice segretario idraulico.
Applaudo a tutti.
Perché per tutta la durata dello spettacolo, ti dimentichi di essere in un cubo prefabbricato nel mezzo del niente.
Tutti bravissimi.
Su tutti, spicca il mio personaggio preferito anche nella versione originale: Killer Queen. Che ci posso fare? Mi piacciono le voci soul.

Ringrazio Spillo per i biglietti.
Morale:
Io e la mia assistente esploratrice ci siamo andati sabato.
Forse l’aria insalubre della palude, forse il freddo, forse i germi ramazzottiani, fatto sta che ho passato il uichend lungo stando a letto.
Oggi sto un po’ meglio, grazie.