Nel degrado della fabbrica, la libertà di parola è selvaggia.

(non leggere il titolo e basta, leggi tutto l’articolo prima di incazzarti)

In questi giorni sul web sta succedendo un gran casino.
L’autorità facebookkiana ha chiuso la nona versione della pagina: “La Fabbrica del Degrado”. Una pagina da più di un milione e mezzo di like, al centro di una galassia di altre pagine, iniziative, gruppi, che hanno creato, da zero e in pochissimi anni, un autentico fenomeno culturale noto come “degrado”.
Nati e cresciuti a colpi di meme, di umorismo nero e nerissimo, un luogo dove il politicamente scorretto viene coniugato in tutte le definizioni possibili. Lì e in altre pagine simili è stato costruito un linguaggio specifico di gruppo, che ha alimentato il senso di appartenenza a una vasta community socialmente trasversale.
L’estensione sul piano reale del fenomeno “degrado” ha portato a serate in discoteca, gadget e altre forme di autosostentamento.
La Fabbrica e i suoi simili sono sempre stati borderline, gli admin e i seguaci hanno saputo usare in modo efficace i punti di forza e i punti deboli di Facebook.
Siamo tutti adulti. Non pigliamoci per il culo.
Le famose foto hard degli Operai e delle Operaie non erano postate direttamente sulla pagina social, c’era un link che rimandava a imgur, o un’altra imageboard esterna al social network. Spostando su terzi la responsabilità del contenuto in questione. Nel web di massa diventa difficile stabilire con esattezza l’origine di un contenuto porcellino condiviso.
Posso mandarti la foto di un bel pisello, spacciandolo per mio, così come posso aprirmi un profilo fake con un’identità femminile e mandarti le foto della mia ex dicendoti che quella sono io. Non c’è alcuna certezza sull’origine di una foto di quel tipo, e sostenere il contrario è un po’ da sciocchini. La “provenienza sicura” non è un problema della Fabbrica, è un problema anche per realtà con target adulto e a pagamento come i siti per voyeur, esibizionisti o cuckold.
Allo stesso modo, usando degli account fake, da bannare al momento giusto, posso gestire in modo scientifico la diffusione di link che portano a piattaforme esterne, dove vengono ospitate copie de “La Bibbia”, lo zip malandrino dove sono raccolte una tonnellata di selfie e foto hard con nomi e altre info sulle protagoniste. Su “La Bibbia” se ne è parlato fin troppo, tirando in ballo il pornoshaming, il cyberbullismo, la pornografia jailbait e compagnia bella.
Dal mio punto di vista, sicuramente sbagliato, se sei maggiorenne, consenziente e nel pieno delle tue facoltà mentali, con il tuo corpo puoi e devi farci quello che ti pare, assumendotene oneri e onori, e tutte le conseguenze, positive o negative che siano.
Ma, se non sei maggiorenne, se non sei consenziente e se non sei nel pieno delle tue facoltà mentali, il discorso cambia in modo netto e radicale.
Anche qua. Non pigliamoci in giro che siamo adulti.
Io faccio parte di quella generazione di utenti che passava le notti su WinMX, aspettando ere geologiche per il download completo di “Forza Chiara da Perugia”.
Questo genere di cose esiste ancora prima che esistesse il web, esiste da quando esiste Internet, inteso come un tot computer collegati tra loro con un protocollo arcaico.
Ora però il paradigma è cambiato. La massificazione esponenziale del web, e la facilità estrema con cui si può caricare un contenuto, non fa altro che amplificare le possibilità che la protagonista o il protagonista di uno scatto o di un filmato non siano consenzienti, non approvino o non sappiano della sua diffusione, non siano maggiorenni o non siano totalmente in sé.
Questo, nell’ipotesi ormai fantascientifica di un uso consapevole della rete non può non essere preso in considerazione.
Ecco perchè tutto lo shaming sul caso di Tiziana Cantone è una cosa da esseri umani di merda. «Se l’è cercata» «Era consenziente, cazzi suoi» non sono posizioni accettabili. Nascosto sotto il tappeto di quella vicenda c’è uno schifo che nessuno dei commentatori moralizzatori darkhumoristi seriali si è preso la briga di scoprire perchè è troppo complicato.
In più, in questo e in altri casi, il contenuto travalica i confini precisi del contesto e diventa virale, con tutte le conseguenze incontrollabili della viralità.
Sappiamo tutti quanto sia difficile spostare una struttura narrativa, di qualunque tipo essa sia, in un contesto completamente diverso da quello di origine.
Ed è proprio sulla scia del caso di Tiziana Cantone che entra in scena Selvaggia Lucarelli.
Selvaggia, da molto tempo, sta portando avanti una battaglia contro il cyberbullismo, il leonismo da tastiera e il “degrado” al fine di un uso responsabile della rete.
Ha dato lei la notizia della chiusura della Fabbrica, scatenando un pandemonio di shitstorm e piccione-storm sul suo profilo. Una situazione analoga a quella scatenata dalla sua azione contro la pagina “Sesso Droga e Pastorizia” dell’anno scorso.
Quando si parla di cyberbullismo c’è un grandissimo errore di fondo, un problema di percezione della questione che non riguarda soltanto la Lucarelli, ma è comune a tutti quelli che trattano quel tema.
L’attenzione è concentrata soltanto su chi attua il cyberbullismo e su chi subisce il cyberbullismo. Ogni ipotetica soluzione prende in considerazione unicamente questi due attori, dimenticandosi che ne esistono altri due, che non vengono mai inseriti nell’equazione.
Il cyberbullismo viene messo in atto su una piattaforma sociale digitale, alla quale si accede tramite un servizio di telecomunicazioni. Di solito, questi due elementi, il social e le Telco, non entrano nemmeno nel dibattito.
Quando, in realtà, se conosci anche un minimo come funziona la rete e il tipo di tecnologie a disposizione dei social e le aziende di telecomunicazioni, dovresti capire che il fenomeno del cyberbullismo potrebbe essere stroncato nell’istante stesso in cui viene premuto invio sulla tastiera.
Social e Telco hanno i mezzi, ma soprattutto hanno i big data per poterlo fare. La profilazione profonda alla quale siamo tutti soggetti lo consentirebbe, e non c’è questione di privacy che tenga, visto che la mia privacy può e viene violata ogni secondo che passo in rete. Non viene fatto per un ovvio motivo, che non è legato alla libertà di espressione, è legato ai big money.
Nel contratto di Facebook, quello che noi tutti abbiamo “firmato”, è presente una clausola che consente al social network di intervenire, rimuovere, avvisare le autorità giudiziarie, per prevenire un reato. Attenzione, è scritto proprio “prevenire”, e non un’altra parola. Possono quindi stabilire un’ipotesi di reato, in base al tuo comportamento e a ciò che condividi. Cyberbullismo compreso.
Non ci vuole molto a dir la verità, basta un’Artificial Neural Network per svolgere tutta la noiosa menata del controllo e del data mining.
Il treno di commenti che sono derivati dalla chiusura della Fabbrica, sia sulla pagina della Lucarelli, sia in altri posti, ha messo in luce un altro fattore di percezione della realtà che secondo me non va sottovalutato: la comprensione del concetto di libertà di espressione.
Molti commentatori inviperiti, tra shitstorm e quant’altro, tirano in ballo la libertà di parola e pensiero, garantite dalla costituzione. La chiusura, la lotta lucarelliana contro il “degrado” e il cyberbullismo sarebbe, in quell’ottica, un limite censorio alla libertà di parola.
(Legge di Godwin a manetta in queste ore)
Purtroppo non è così, ma soprattutto non è archiviabile in una maniera così semplice.
Quello che sta succedendo non riguarda la sacrosanta libertà di pensiero o parola, compresa la libertà di mandare affanculo o di dare della troia a chi ti pare.
Quello che sta succedendo riguarda le responsabilità che sei obbligato ad assumerti quando eserciti il tuo sacrosanto diritto di dire quello che vuoi.
Responsabilità delle quali non puoi esimerti soltanto perchè ti stai esprimendo sul web.
(E anche qui, c’è da fare un ragionamento. Questo post è lunghissimo, a questo punto ci saranno arrivati in 4, tantovale farlo.)
Stiamo parlando di pagine e situazioni che operano sulla parte più mainstream del web: Facebook. Ovviamente, quel tipo di contenuti e di casini non può essere fatto in ambienti non facilmente raggiungibili da uno smartphone, altrimenti non si farebbero milioni di follower.
Se, quel tipo di logiche venissero adottate su 4Chan, nessuno avrebbe niente da dire.
Ma vengono messe in atto su Facebook, la parte più massificata e di superficie disponibile sul web. Non puoi adottare il comportamento e le regole di 4Chan su Facebook.
Anche se usi account fake. Anche se per te è tutta una burla, anche se per te niente è sacro e tutto è perculabile.
Stiamo trasformando il web mainstream in un gigantesco /b/ di 4Chan?
A me starebbe anche bene.
Però a questo punto, la Lucarelli ha tutti i diritti di pubblicare screenshot con i nomi in chiaro e telefonarti a casa. Perchè se “niente è sacro” deve esserlo a 360 gradi, altrimenti è troppo comodo.
Così come è troppo comodo separare il proprio comportamento sul web da quello che si tiene nella real life. Perchè c’è qualcuno che alla real life ci rinuncia, per dei fatti che accadono sul web.

24 thoughts on “Nel degrado della fabbrica, la libertà di parola è selvaggia.

  1. Uno dei migliori osservatori della realtà contemporanea e dei fenomeni del web. O forse dovrei dire uno dei migliori osservatori e dei più chiari espositori, visto che sono arrivato fino alla fine in un baleno. Condivido ogni parola (letteralmente) e diffonderò l’articolo più possibile.

  2. E stato facilissimo arrivare alla fine. Quando le cose difficile sono spiegate con una tale semplicità da far capire anche a chi non è molto cyber è facile. Ed è molto istruttivo. Seguo molto la Lucarelli e seguirò anche te adesso. Contenta di aver letto.

  3. Analisi ottima, ma mi permetto di fare una precisazione, dato che ha scritto una falsità: le comunicazioni di servizio sono state un modo per celebrare i 500mila, 600mila ecc utenti che mettevano like alla pagina della fabbrica; data l’evenienza, nella foto -da nuda o meno - che una persona mandava, c’era scritto sempre, con il pennarello sulla pelle o con un post-it, il numero dei like alla pagina (esempio: “500k FDD” cioè 500mila like Fabbrica del Degrado).
    Oltre a ciò, nessuno metteva la propria faccia e il corpo o parte di esso era totalmente irriconoscibile.
    Non mi permetto assolutamente di giudicare l’atto, perché ognuno è libero di pubblicare quel che vuole su internet, però capisce bene che sarebbe alquanto strano scrivere sui seni della mia ex ragazza “500k fdd”, scattare una foto e mandarlo alla pagina, non trova? Ergo le foto erano, seppur di minorenni, assolutamente consenzienti.

    Io condivido molte degli argomenti che scrive, ma non capisco assolutamente come si possa sostenere una come la Lucarelli, una pregiudicata che ha deciso di portare avanti questa battaglia contro il cyberbullismo guarda caso proprio nel momento in cui rischia male al prossimo processo e ha bisogno di far parlare bene di sé. Selvaggia Lucarelli non è sinonimo di candore giudiziario, ma neanche di cultura, tant’è vero che la maggioranza dei suoi seguaci sono analfabeti funzionali e solo con loro può permettersi di parlare -a vanvera- di legislazione e legalità. Arriverà il momento in cui in Italia si darà il giusto spazio a chi parla perché sa, perché ha passato anni della propria vita sui libri ad acculturarsi, anziché cercare con i mezzi più discutibili di accaparrarsi i favori della stampa?

    1. Okay, chiaro.
      Nell’esempio allargavo il concetto, e non mi riferivo soltanto al caso specifico.
      Per quanto riguarda la Lucarelli e i suoi follower, beh, non penso sia un suo sistema di comunicazione legato in modo diretto alle sue faccende giudiziare. Penso anche che ormai dovremmo esserci e tra un po’ si saprà che cosa deciderà la giustizia in merito.
      Io credo che sia arrivato il momento di rivedere i parametri con cui ci si relaziona con il web, per un sacco di motivi che ho detto qua e la e che ripeto qua quando mi capita.
      L’uso capillare, portable e a breve wearabile del web sta portando a dei cambiamenti della realtà e del proprio Essere, inteso in senso filosofico. Va aperto un dibattito, bisogna prendere a craniate i mulini a vento, non servirà assolutamente a nulla, perchè ormai il danno ontico è stato fatto, ma tant’è.
      🙂
      E qui arriva la Lucarelli, ogni tanto sono d’accordo con lei, ogni tanto no, non conosco i suoi casini. Però, se a suo modo, riesce a interessare un analfabeta funzionale a questi argomenti, per me è legittimata ad essere parte del dibattito.

      1. In realtà l’argomento, almeno dal punto di vista giuridico, lo si è iniziato ad affrontare da un bel po’, da quando ci si è resi conto che il web consente di separare fisicamente l’autore dal reato. Esempio stupido, sono seduto a Pavia e insulto, tramite facebook che ha i server negli USA, quindi la stringa è “depositata” li, un tizio che sta in Inghilterra. Chi ha giurisdizione? La cosa sembra banale, ma è rilevante, una cosa che qui non è reato in un altro stato si, ma per farmi dare le prove devo chiedere negli USA dove magari mi sfanculano perchè il paese di tizio lo bombardano.
        Non è solo un problema dell’etica della Lucarelli o della nostra civiltà, ma dello scontro tra etiche, culture, civiltà, sovranità nazionali e sistemi giudiziari.

      2. La Lucarelli la seguo anche io. E devo dire che ne apprezzo la battaglia. Ma se decidi davvero di portare avanti questa lotta è meglio, anzi indispensabilmente necessario, avere tutte le carte in regole ed essere candidi come la neve appena caduta. Altrimenti la credibilità di questa battaglia (giusta e sacrosanta ripeto) ne uscirebbe fortemente ridimensionata. Non dico che la Lucarelli debba smettere di fare ciò che fa, ma dovrebbe farlo solamente quando le sue personali vicende saranno definitivamente chiuse con lei che ne sia uscita pulita.

  4. alla fine ci si arriva molto più alla svelta di quello che volevi farci credere! 🙂
    Ottimo articolo, ottima spiegazione.
    Bravo.

  5. 1- non penso che la Fabbrica sia stata bannata per i motivi di cui parli, né che abbia mai proposto pornografia non consenziente
    2- le operazioni sui big data di cui parli non sono così semplici, inoltre eviterei di buttare lì termini come artifiicial neural network a caso senza un minimo di approfondimento
    3- bisogna pe forza usare termini inglesi quando non serve? Santo cielo, è terribile. E non innalzano di certo il livello dei contenuti

    1. 1- proviamo a fare il passo successivo?
      Cosa pensi che sia successo?
      2- ormai considero scontato l’ipertesto. I nuovi progetti di intelligenza artificiale legati al marketing e al controllo/estrazione dei dati sostengono l’opposto di quello che affermi tu.
      3- pazienza. anzi: nevermind!

  6. Ma giusta o sbagliata che sia la battaglia, come si fa ad accettare che a portarla avanti sia la Lucarelli?
    Una persona che ha commissionato l’hackeraggio delle e-mail di VIP vari a scopo di gossip e faide varie (es. contro Mara Venier)?
    http://it.blastingnews.com/tv-gossip/2017/01/vip-foto-rubate-pm-chiede-un-anno-per-la-lucarelli-001435515.html

    In un paese sano una persona così si va a nascondere per sempre. Da noi si erge a paladina della moralità. E trova pure una milionata di dementi che le vanno dietro…

    1. Ecco questo è proprio ciò di cui scrivevo in precedenza. Per quanto sia giusta e sacrosanta questa battaglia (e per me lo è) il fatto che la porti avanti la Lucarelli è un grosso colpo alla credibilità della battaglia stessa.

  7. Articolo condivisibile, ma selvaggia lucarelli magari no. Proprio non ci siamo. Se non fosse stata insultata se ne sarebbe fregata altamente. Sicuro. Infatti prima perculava e attaccava altre donne con nonchlance . Paladina di cosa? Mai un’autocrita , umorismo da asilo mariuccia a senso unico. Guai a far umorismo o sarcasmo su di lei. Arrmpicatrice sociale e rinviata a giudizio per violazione della privay, vorrebbe combattere il cyberbullismo con il cyberbullismo. La sua é una battaglia personale, patetica, ridicola. Non ha nessuna autoritá morale. E’ lei che ha dato visibilità a quattro bulli di quartiere repressi di cui si ignorava l’esistenza.

  8. Comunque vedendo come sta quotidianamente sbattendo il mostro (=adolescenti o ventenni che sparano qualche cazzata di troppo su qualche pagina fb) in prima pagina è abbastanza facile prevedere come finirà la crociata della Lucarelli: prima o poi uno di ‘sti ragazzi si ammazzerà e la carriera della “giornalista” sarà giustamente finita.

    1. A me dispiace davvero tanto, però i case history legati ai suicidi di teenager avvenuti in seguito a problematiche nate sul web dimostrano proprio il contrario.
      Giusto per farti un esempio, Ask.fm. Dopo i numerosi episodi di ragazzi che si sono tolti la vita per motivi direttamente collegati a quel social, il valore della piattaforma è arrivato vicino ai 10 milioni di Dollari.

      1. Guarda, ho scritto quella cosa e mentre la scrivevo avevo un tarlo proprio nel senso che dici tu 🙂
        Diciamo che è facile prevedere che se la spirale nevrotica che la Lucarelli sta mettendo in scena continua nella stessa maniera prima o poi si arriva alla tragedia. Probabilmente la “giornalista” trarrà beneficio pure da una situazione del genere.
        Del resto la Lucarelli, che ha avuto il boom di follower proprio quando ha condiviso il video di Belen (la quale ha avuto un aborto a causa dello stress subito per quel video, almeno stando alla sue dichiarazioni) ha la faccia tosta di fare la morale a chi ha condiviso il video di Tiziana Cantone. E un milione di follower non vedono l’ipocrisia. Alla fine il problema forse sono loro, no?

  9. Dare della troia è un reato. Direi che il diritto di parola debba finire un attimo prima di dove inizia la legge che regola il diritto altrui di querelarti. Insomma, liberi di parlare se non si ferisce la sensibilità altrui e non si offende. Ma questa è era di individualismo, egocentrismo, narcisismo, in cui ci si sente uniti solo quando si dà addosso a qualcun altro o ad una categoria. Il capro espiatorio è la donna (al primo posto) o, di volta in volta, i migranti (prima erano gli albanesi, poi i rumeni, oggi gli islamici), o perfino chi mangia la carne.
    Come si fa a creare un sistema automatico di moderazione di intere masse di popolazione che sfogano la propria frustrazione confondendo i social con una realtà parallela dove puoi esprimere ogni tua fantasia più controversa, il tuo lato oscuro, senza conseguenze?
    La verità è che questa è quella massa che ha avuto accesso ad internet solo in tempi recenti, che non conosce il passato del web, la netiquette. Sono come bambini piccoli che hanno appena avuto un giocattolo e non sanno come usarlo. Lo tirano a terra, lo rompono e non sanno farlo camminare e funzionare. Finita l’ubriacatura, si spera che passino alla fase successiva e che internet torni ad essere un servizio collettivo, non un servizio igienico pubblico e collettivo. Sentirsi uniti se si odia tutti assieme, essere incapaci di ragionare fuori dal gregge, però, sono cose che si possono anche non imparare mai. Se hai bisogno di ricevere likes e per averli facilmente ti metti ad insultare l’essere più odiato del pianeta (la donna) usando pure una cosa vecchia e ammuffita come la morale sessuale cattolica, hai problemi di autostima (e quelli non si risolvono neppure crescendo) ed hai limiti culturali e quelli sono responsabilità anche di una intera società.

  10. Reputo che, per quanto la “battaglia” possa essere condivisibile, i metodi usati dalla opinionista siano, in buona parte, sbagliati. L’ultimo episodio del ragazzo di Napoli è lampante:
    prendere un post, per quanto odioso lo si possa considerare, scritto in un gruppo chiuso per dargli la proprio interpretazione (che molti reputano sbagliata o incompleta) e lasciare il ragazzo alla mercé dei più beceri insulti e minacce (spero di parlare in un contesto abbastanza smart per capire che scrivere “non insultatelo” non ha alcun valore se poi i toni e la moderazione non seguono le indicazioni) da parte di centinaia di migliaia di persone è meschino e pericoloso. Cercare di rovinare il futuro di una persona sfruttando il proprio potere mediatico è scorretto e ingiusto. Esistono delle autorità competenti e delle regole: arrogarsi il diritto di decidere come punire o infliggere punizioni (es. cercare di far licenziare) è profondamente sbagliato e lesivo del sistema democratico.
    Ci sarebbero altri punti su cui non concordo assolutamente come l’idea di vietare i gruppi chiusi (mi ricorda i divieti che si davano un 80 anni fa) ma dilungherei troppo il post.

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